In questa pagina
Chi sono veramente i rider? Chi sceglie di fare questo lavoro? Che genere di inquadramento contrattuale hanno? A quanto ammonta la retribuzione media? Queste sono soltanto alcune delle domande a cui cercheremo di dare risposta. I lavoratori e le lavoratrici della gig economy, ad oggi, si trovano ancora in un limbo di incertezza e sfruttamento e, sebbene qualche passo avanti si sia fatto, non si è ancora giunti a un pieno riconoscimento dei diritti di tali figure lavorative.
Identikit del rider “tipo”
Sono da poco stati resi noti i risultati di un'indagine condotta da CGIL Palermo sul lavoro dei rider, grazie ai quali è possibile ricostruire l'identità del rider (parlemitano) "tipo". Nel capoluogo siciliano, i lavoratori del food delivery hanno generalmente tra i trenta e i quarant'anni e sono, per lo più, maschi (ben l'81,9%) di istruzione media o medio-alta. Di questi, oltre la metà (il 58,1% per esattezza) si muove in scooter, il 23,3% in auto, il 17,4% in bici e un'esigua minoranza opta per il monopattino elettrico.
Un quadro molto preciso che rappresenta un unicum in Italia, dove la figura lavorativa del rider resta generalmente sospesa in un limbo di cui nessuno conosce i dettagli. A Palermo si è reso quantomai necessario fotografare lo status quo del comparto poiché – come spiega il segretario di CGIL Palermo Dario Fazzese – in quella città «cresce più che altrove la domanda di forza lavoro in questo settore».
Altro dato interessante riguarda il fatto che, ben lungi dalla diceria che il rider altro non sarebbe che un "lavoretto" per giovani e studenti, i lavoratori del settore delle consegne sono – nella maggior parte dei casi – persone la cui sopravvivenza dipende da tale attività, nonostante tutti i rischi che comporta e le cifre irrisorie che si riescono a racimolare (la retribuzione media di un rider, infatti, oscilla tra un minimo di 400 Euro mensili e un massimo di 2.100 Euro, per i pochi fortunati che arrivano a tanto).
Food delivery tra sfruttamento e caporalato digitale
Incertezza salariale, mancanza di tutele e scarsa sicurezza hanno portato i lavoratori del food delivery a organizzarsi e a protestare per il riconoscimento dei loro diritti. Tutto ebbe inizio nel 2016 a Torino, una cinquantina di fattorini in bicicletta con le giacche rosa di Foodora (società poi acquisita da Glovo) avvia un contenzioso con l'azienda, il primo caso italiano che coinvolge una realtà della cosiddetta gig economy.
Da quella prima scintilla è nato un movimento nazionale che ha portato, il 31 maggio 2018 a firmare a Bologna la Carta dei Diritti Fondamentali del Lavoro Digitale nel Contesto Urbano, sottoscritta dalle Riders Union bolognesi, dalle organizzazioni sindacali (FILT-CGIL, FIT-CISL, UILT-UIL) e dalle piattaforme digitali Sgnam e Mymenù. Una conquista importante, così come quella ottenuta a giugno del 2023 quando, per la prima volta, i Ministri del Lavoro europei raggiungono un accordo volto a tutelare i lavoratori e le lavoratrici delle piattaforme digitali. Tra i punti principali, il riconoscimento del rider come lavoro dipendente (e non più autonomo).
La strada verso la completa regolamentazione del settore del food delivery digitale è stata tracciata, sebbene manchi ancora un provvedimento legislativo che inquadri chiaramente tali figure lavorative.
La storia di Souleymane (film)
Recentemente, nelle sale cinematografiche è stato proiettato il film di Boris Lojkine dal titolo La storia di Souleymane. Uno stile schietto e profondo, il cui forte realismo è in grado di trasmettere appieno il contesto sociopolitico che rappresenta, senza ricorrere a storytelling posticci. Lojkin è un ex professore di filosofia ed ex documentarista, che si interessa alla figura del rider durante la pandemia, quando erano (quasi) le uniche persone che giravano per le strade delle nostre città.
Girato nel decimo arrondissement di Parigi, i tragitti in bicicletta di Souleymane (interpretato da Abou Sangare) vengono filmati come mai prima d'ora: con operatore e fonico in bicicletta, così da poter seguire fedelmente le rocambolesche corse di Souleymane, bruciando i semafori e prendendo scorciatoie che un’auto non avrebbe potuto fare. Questa scelta traspare dal girato, restituendoci scene altamente adrenaliniche in grado di trasportarci, per qualche momento, nella testa di un rider la cui ossessione è quella di dover essere sempre primo.
La verità dell'interpretazione di Abou Sangare deriva dal suo vissuto, trattandosi sul serio di un rider di Amiens, a cui hanno rifiutato per ben tre volte la richiesta di soggiorno in Francia. Oggi, a Cannes – città nella quale ha vinto il Premio per il Miglior Attore nella sezione Un Certain Regard, così come Lojkine ha vinto quello della Giuria –, la storia di Abou-Souleymane è diventata una sorta di simbolo contro chi vorrebbe una Francia sempre più reazionaria e diffidente nei confronti dei migranti.