Stelle Michelin, croce e delizia degli chef

Guida Michelin: come funziona la “rossa”. L'assegnazione delle stelle Michelin (dette, informalmente, “macaron”) segue cinque criteri generali, consultabili sul sito ufficiale della “rossa”.
Stelle Michelin, croce e delizia degli chef

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Guadagnare una stella 

L'assegnazione delle stelle Michelin (dette, informalmente, “macaron”) segue cinque criteri generali, consultabili sul sito ufficiale della “rossa”. Qualità degli ingredienti in primis, poi armonia dei sapori, padronanza delle tecniche, personalità dello chef e coerenza nel tempo e del menù. Dunque, contrariamente a ciò che si è portati a pensare, servizio e stile del locale non hanno alcuna importanza, così come i professionisti della Michelin affermano da sempre. Tale pregiudizio, infatti, non sarebbe altro se non un retaggio culturale di un passato in cui erano proprio i ristoranti più eleganti a servire il cibo migliore.

I giudici, in rigoroso anonimato, girano per i locali in corso di valutazione da soli, in coppia o in gruppo, magari tornando più volte nello stesso ristorante durante l'anno. In ogni caso, le stelle non dipendono dal giudizio di un ispettore solitario, bensì vengono assegnate (o tolte) dopo un confronto tra più esperti, così da cercare di ottenere un risultato il più oggettivo possibile.

Potersi fregiare di questo prestigioso riconoscimento è, indubbiamente, positivo, sia per gli chef che per i ristoranti: aumento dei clienti, attenzione mediatica e via dicendo. Secondo Joel Robuchon, uno dei maggiori rappresentanti del fine dining francese recentemente scomparso, il trend positivo sarebbe davvero notevole: +20% con una stella, +40% con due e ben +100% con tre. E se le cose stanno così, che cosa significa perdere una stella?

Perdere una stella

È risaputo che perdere una stella rappresenta un duro colpo per molti chef. Anzitutto, vi è il danno d'immagine e il conseguente calo dell'affluenza data la grande autorevolezza che la guida ha tra appassionati e buongustai di tutto il mondo. A tal proposito è emblematico il caso di Kevin Thornton, chef del ristorante del Fitzwilliam Hotel di Dublino che, in seguito al declassamento, fu costretto a chiudere perché impossibilitato a sostenere i costi del suo locale, dopo aver registrato un calo di oltre il 70% del fatturato.

La perdita di una stella, spesso, fa più chiasso che guadagnarne una, e bisogna essere molto abili a gestire l'eco mediatica che ne deriva. Nel 2018, dopo essere passato da due a una stella con il suo ristorante a Milano, la chefstar Carlo Cracco dichiara al Corriere della sera: «la guida non si commenta, ma si accetta. E comunque è anche vero che la guida la usi e ti usa». La pressione giornalistica e la morbosità del pubblico possono gravare pesantemente sugli chef declassati, fino alle più drammatiche conseguenze, come i tristemente noti casi di Bernard Loiseau (nel 2003) e Benoit Violier (nel 2015), entrambi morti suicidi in seguito alla “bocciatura” dei loro ristoranti.

Stella Michelin? No, grazie

chef molto famoso

Pierre White, Marchesi e molti altri 

Non è, però, per tutti così. Volersi chiamare fuori dalla costellazione Michelin significa, per alcuni chef, una chiara e decisa presa di posizione nei confronti di un sistema valutativo di cui non si condividono alcuni aspetti. Il primo a rinunciare all'ambito riconoscimento fu Marco Pierre White che, nel 1999, decise di rispedire al mittente le tre stelle del suo locale, polemizzando con la Rossa poiché stufo di essere giudicato da persone meno esperte di lui in materia.

Qui da noi, a essere balzato agli onori della cronaca fu il maestro Gualtiero Marchesi che, nel 2008, restituì le sue stelle alla Guida, sollecitando i giudici a non presentarsi più al suo ristorante seguendo il motto, che diventò proverbiale: «critici, da oggi vi critico io». Poi, ancora, Alain Senderens che, nel 2005, si liberò del fardello dei macaron dichiarando di voler fare «una bella cucina senza tra-la-la e chi-chi»; o Sébastien Bras, che nel 2018 rifiutò il giudizio dei critici prezzolati rivendicando l'assoluta supremazia della propria clientela su qualsivoglia guida.

Nonostante questi gesti eclatanti che molto hanno fatto discutere, restituire o rinunciare alle stelle è tecnicamente impossibile. Soltanto gli autori della Guida possono cancellare un ristorante dalla lista dei migliori, non il singolo chef in disaccordo con i criteri valutativi o altro. È lo stesso Michael Ellis, ex direttore internazionale delle guide Michelin, a confermarcelo: «puoi essere d'accordo o meno con il giudizio, ma non puoi restituire una stella. Neanche a paarlarne…è una leggenda metropolitana».

Le ragioni degli chef dimissionari

Le motivazioni a monte di una scelta tanto radicale possono essere le più diverse. Nel caso di Pierre White, ad esempio, le stelle rappresentano un gabbia da cui si sentiva oppresso, tanto da dire che se non vi avesse rinunciato, sarebbe probabilmente morto dietro alle stufe. Per Marchesi, invece, si trattò di una critica al metro di valutazione dei giudici che – allora soprattutto – applicavano alla cucina italiana i medesimi criteri di quella francese, con una conseguente disparità tra il numero di ristoranti francesi giudicati tra i migliori al mondo rispetto a quelli italiani.   

Molti altri chef vivono il riconoscimento come un ostacolo alla propria creatività, da una parte, percependo un accrescimento esorbitante delle aspettative dei clienti, dall'altra, che li condanna a vivere e lavorare in una prigione dorata. Il portoghese Henrique Leis, lo spagnolo Julio Biosca sono tra questi, giudicando le stelle come “un fardello" da cui liberarsi quanto prima. Altri ancora, invece, preferiscono conservare uno stile di cucina più rustico e familiare, per cui non possono accettare tutte le limitazioni derivanti dall'essere inseriti nella guida dell'alta cucina per antonomasia: così come Frederick Dhooge, che rifiutò la stella in virtù del proprio diritto servire pollo fritto, o La Lisita a Nîmes, che preferì mantenere uno stile da brasserie piuttosto che snaturarsi per entrare nel novero dei ristoranti d'alta gamma. Stesse ragioni che, nel 2017, motivarono la chef belga Kaaren Keygnaaert a restituire la stella, dal momento che «porta con sé tutto un circo che è superato. Per quanto possa verificarsi un aumento dei coperti e dei prezzi, la gente conclude le sue frasi così: “non credo sia appropriato per un ristorante stellato". Perdi la libertà di fare ciò che vuoi come cuoco».

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