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Discriminazione di genere in sala
Nella ristorazione – come altrove – il modello patriarcale è quello dominante e sessismo, maschilismo tossico e discriminazioni di genere sono all'ordine del giorno. Lavorare in sala è, spesso, il primo approccio al mondo del lavoro e l'impatto non è dei migliori. Alle giovani donne può fin troppo facilmente capitare di ritrovarsi fra due fuochi incrociati: clienti da una parte e titolari dall'altra. In questo contesto, non è insolito subire commenti o dover assecondare atteggiamenti sessisti che possono arrivare da ogni direzione.
E il problema, purtroppo, non è proprio soltanto di bettole di terz'ordine situate in aree malfamate, tutt'altro: non sono insolite testimonianze di alcuni locali di fine dining in cui capita che siano gli stessi proprietari a incoraggiare atteggiamenti lascivi nei confronti della clientela maggiormente influente. Per ricordare soltanto uno dei casi mediatici degli ultimi tempi, basti pensare a Enoteca Pinchiorri – tristellato fiorentino – il cui proprietario Giorgio Pinchiorri è stato travolto dalle accuse di una ex dipendente, da cui ne è conseguito un patteggiamento per stalking.
E, se per le donne non è affatto semplice lavorare in sala, le cose si complicano (e di molto) per tutte quelle persone con identità sessuale non conforme. Persone omosessuali, lesbiche, trans e, in generale, tutti gli appartenenti alla comunità LGBTQIA+ vengono spesso estromessi dai canali di selezione del settore per futili ragioni pregiudiziali.
Discriminazione di genere in cucina
In cucina, lo scenario non migliora affatto, anzi. Negli ultimi anni, durante gli interventi pubblici di moltissimi chef – quasi sempre uomini – si sono sentite frasi abominevoli che lasciano intendere quale sia l'atteggiamento generale nei confronti delle donne in cucina. Affermazioni che descrivono le donne come «troppo sensibili» per stare ai fornelli oppure «troppo poco energiche» per cui sarebbe «meglio metterle in pasticceria a fare i decori» e simili si sono sentite fin troppe volte. Parimenti, ci si potrebbe far raccontare da una qualsiasi donna che abbia deciso di intraprendere tale percorso professionale, quali situazioni si sia ritrovata a dover affrontare, quanto sia stata sessualizzata e oggettificata dai colleghi e quanto sia stata presa poco seriamente dagli addetti ai lavori, in particolar modo se ha scelto di avviare una propria attività.
Cuochi e cuoche non eterosessuali, poi, se la passano pure peggio. Nel 2021, la chef Viviana Varese dichiarava in un'intervista che è poco probabile che non ci siano chef stellati omosessuali, per cui – dice – «è chiaro che si nascondono: purtroppo quello dell’alta cucina è un mondo molto maschile, in cui bisogna seguire un modello aggressivo e autorevole, per cui uno chef omosessuale avrebbe certamente un problema di ruolo. È come un comandante di battaglione che si dichiara gay: impossibile, praticamente».
Dello stesso avviso è anche la chef transgender Chloe Facchini che parla di «scarsa inclusività nei confronti di persone trans e di colore che da sempre sono state poste ai margini delle cucine». Il risultato? cucine che diventino ambienti tossici, negativi e che danneggiano la salute mentale di chi ci lavora all'interno e che, come più e più volte s'è letto, alimentano dipendenze e abuso di farmaci antidepressivi tra lavoratori e lavoratrici.
Un problema articolato e sistemico, su cui bisogna al più presto intervenire.
Per una ristorazione senza pregiudizi
Da Tuorlo ed Espressy, Apertissimo
Per cercare di rendere il settore Ho.Re.Ca. maggiormente inclusivo, nasce il progetto Apertissimo, ad opera di Tuorlo Media e del think tank Espressy, specializzato in diversità e inclusione. Scopo dell'iniziativa è quello di attestarsi come movimento di sensibilizzazione su problemtiche quale omofobia e divario di genere e rendere consapevoli gli operatori della ristorazione del ruolo cruciale che questo settore può rivestire nella lotta alle discriminazioni.
La già citata Viviana Varese, chef e founder del ristorante stellato Viva, è stata fra la prime a sostenere Apertissimo, conscia della misoginia diffusa che spesso aleggia nell’alta ristorazione. Alessandro Longhin, co-founder insieme a Samuele Luè del Chihuahua Tacos a Milano dice che «Apertissimo va ad istituzionalizzare l’inclusività all’interno di questi sistemi chiusi» e aderirvi è importantissimo poiché «all’interno di una azienda i codici, l’etica e la comunicazione interna sono a volte molto più importanti di quello che si comunica internamente».
I locali aderenti, oltre alle vetrofanie di riconoscimento, ricevono un manuale di diversità e inclusione, atto a sostenere chef e ristoratori nel rendere la propria attività realmente aperta e priva di discriminazioni di ogni sorta. Tra le molte realtà ristorative che hanno sposato appieno la causa, Erba Brusca di Milano, guidato da Alice Delcourt che, tra le cascine del naviglio pavese, dichiara: «il settore della ristorazione è ancora dominato da una componente bianca, maschile e machista. Come tanti altri settori, deve ancora fare passi avanti. Per questo è importante dirlo, nero su bianco [...]. È importante andare in un ristorante e sapere che non sei guardato in un certo modo dagli altri. Oggi la comunità LGBT va sostenuta pubblicamente».