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La Stella Verde della Guida Michelin è una grandissima occasione persa per fare qualcosa di buono nel nostro settore. La cosa che più non sopporto è il criterio di valutazione. Dal loro sito:
"Non esistono criteri fissi per l'assegnazione della Stella Verde, poiché ogni ristorante e il luogo in cui si trova sono unici. Gli ispettori cercano semplicemente quelli che danno il meglio di sé nell’impegno verso la sostenibilità."
E ancora:
Qualsiasi ristorante della Guida MICHELIN è idoneo, sia esso un piatto, un Bib Gourmand o una stella.
In parole povere, ad oggi, l'unica certificazione mainstream che dichiari un non preciso basso impatto ambientale di un'attività ristorativa, è la Stella Verde Michelin che puoi ricevere, solo se già fai parte della loro guida, ma senza rispondere a dei precisi criteri quantificabili.
Ci sono oltre 300mila attività di tipo ristorativo in Italia e se la questione ambientale fosse meno elitaria e più nazional-popolare, con molto poco, tutti insieme, potremmo fare una grande differenza. (le Stelle Verdi Michelin, ad oggi, sono 58).
Così ho pensato, perché non andare a realizzare un elenco di elementi che contribuiscono all'inquinamento nelle attività ristorative?
Si potrebbe stabilire quando e come questi punti rappresentano un malus ambientale per le aziende, e quando invece, per ognuno di questi criteri le stesse riescono ad ottenere dei punti bonus.
Potremmo pensare di quantificare i punteggi secondo determinati schemi, e da qui riuscire persino a certificare i più meritevoli, secondo un metodo chiaro.
A quel punto non solo il cliente avrebbe una consapevolezza di scelta, ma una simile certificazione potrebbe giustificare un sistema di sgravi fiscali su tasse come la Tari.
È un'idea, intanto eccovi le 10 AZIONI SEMPLICI PER MIGLIORARE L’IMPATTO ECOLOGICO DEL TUO RISTORANTE O BAR:
1 – CAPSULE DEL CAFFÈ
Nei bar la mastodontica “macchina del caffè” con i suoi gruppi, bracci, portafiltri e caldaie, ancora resiste. Anzi. Il mercato è in continua evoluzione e si punta a strumenti sempre più sofisticati e accurati, con sensori elettronici e macinadosatori on demand.
Nei ristoranti invece, per acquisire maggior spazio negli office e per una scarsa capacità di manutenzione di macchinari, spesso anche costosi dal punto di vista del consumo elettrico, si opta per le macchine a cialde/capsule.
Eccovi allora un primo dato:
“Ogni anno nel mondo le capsule generano 120 mila tonnellate di rifiuti, di cui 70 mila solo in Europa”
In Italia su circa 1 miliardo di capsule vendute all’anno, a finire in discariche e inceneritori sono 12 mila tonnellate.
Capite che questa abitudine che ci ha semplificato la vita, dall’altra parte la renderà meno salubre nel prossimo futuro?
In molti casi le capsule possono essere differenziate. Se una volta aperto il blister che la contiene viene appositamente messo in un contenitore, e una volta usata, questa venisse separata dal suo involucro per differenziare il caffè dalla capsula, ecco, in tal caso riusciremmo a diminuire parte del rifiuto indifferenziato.
Ma quanti lo fanno? Quale è allora la soluzione?
Innanzitutto rivalutare se il caffè sia proprio un must, un obbligo assoluto da avere nel proprio ristorante (c’è chi eliminandolo dall’offerta per esempio ha velocizzato il ricambio dei tavoli).
Inoltre esistono altri modi di preparare il caffè (basti pensare alla MOKA) e altri modi per terminare un pasto che possono anzi differenziarvi rispetto altri locali.
Magari con prodotti dal margine più alto (tisane e thè per esempio), innovativi (caffè filtro, french press coffe, e altri metodi di estrazione) o ritorni più vintage appunto, come la vecchia caffettiera.
2 – CANNUCCE
Secondo una ricerca condotta dalla compagnia britannica Eunomia, in Italia si utilizzano ogni anno circa 2 miliardi di cannucce di plastica.
Le cannucce sono al quinto posto tra i rifiuti più presenti sulle spiagge e impiegano almeno 500 anni per degradarsi.
Oltre a esistere sul mercato diverse alternativa alla cannuccia usa e getta di plastica (in metallo o di bamboo le più resistenti e durature), c’è anche da considerare il fatto che i cocktail che hanno realmente bisogno di essere “succhiati” sono una minoranza come i drink con ghiaccio pilè e il bloody mary.
3 – RACCOLTA DIFFERENZIATA
Anche se il vero obiettivo è quello di creare meno rifiuti, fare da subito una buona raccolta differenziata può fare la differenza.
Versato in uno specchio d’acqua un solo litro di olio è in grado di formare una pellicola inquinante grande quanto un campo da calcio. Questo è un valido motivo per non gettarlo nel lavandino della vostra cucina. Teoricamente in ogni comune, l’azienda predisposta al ritiro dei rifiuti dovrebbe avere anche un ritiro degli oli esausti almeno nella sede centrale. In alcune città i ristoranti vengono riforniti di appositi contenitori che vengono ritirati.
In altri casi conviene attrezzarsi con un grande recipiente adibito appositamente alla raccolta per poi destinarli ciclicamente dove li ricevono.
Bisognerebbe poi informarsi sempre su cosa effettivamente si può differenziare e come.
Molti gettano ancora i cocci di piatti di ceramica nel bidone del vetro. SBAGLIATO! Così come i bicchieri di cristallo che hanno un alto contenuto di piombo, la ceramica non va assolutamente gettata nel vetro. Informatevi su dove smaltire e differenziare i rifiuti che producete.
La consapevolezza prima di tutto, come sul lavoro.
4 – PULISCI SENZA SPORCARE!
Fate una cernita dei prodotti che usate per le pulizie. Valutate se sul mercato esistono prodotti con cui potete ottenere lo stesso risultato con un impatto ambientale minore. A parte le zone di lavoro che vanno sanificate con prodotti specifici, il locale può in parte essere reso pulito e splendente anche con i cosiddetti rimedi della nonna.
Basti pensare ai giornali vecchi da usare per pulire i vetri. Niente “Vetril” o prodotti simili. Solo acqua e giornale.
Aceto e bicarbonato sono due altri ottimi alleati insieme ad acqua calda e il più grande alleato dell’ambiente, l'olio di gomito.
5 – TOVAGLIE MONOUSO
Uno dei principali alleati dell’inquinamento è la pigrizia e la scarsa organizzazione. Spesso è il motivo che porta a usare prodotti monouso nella ristorazione come le tovaglie di carta. Tovaglie che per altro, spesso non hanno nemmeno un costo irrisorio e la cui fattura, per quanto pregiata non potrà mai competere con il tovagliato di tessuto che cerca di simulare.
Avete mai considerato l’idea di investire quanto spendete in tovaglie monouso (o anche in lavaggi di tovaglie di cotone) ogni anno, per comprare (o magari far costruire da un artigiano) dei nuovi piani dei vostri tavoli da mettere in bella mostra?
Ormai è risaputo che anche ristoranti stellati usano lasciare i tavoli scoperti.
Ci guadagnate nell’investimento e in immagine.
Ma soprattutto creerete meno rifiuti.
6 – TOVAGLIOLI MONOUSO
Stessa origine del problema delle tovaglie monouso, nel caso dei tovaglioli la questione è più difficile da risolvere. Da una parte rivalutare il cotone (così da dare ai camerieri anche qualcosa di valido per asciugare i bicchieri a fine servizio!) dall’altra esistono aziende che stanno sperimentando tovaglioli con meno veli rispetto lo standard.
Ragionando sempre per grandi numeri, se nelle centinaia di migliaia di attività di tipo ristorativo, si passasse mediamente da 4 veli di un tovagliolo a 2 veli, senza diminuire la qualità del servizio, è come se avessimo di colpo dimezzato il consumo di carta. Non male no?
7 – CONTENITORI TAKE AWAY
Nel take away ovviamente il monouso è d’obbligo, altrimenti bisognerebbe escludere il take away come metodo di vendita e servizio. Ma l’ambiente si aiuta con la praticità del vivere quotidiano, non con le utopie.
Quindi se non si può evitare il monouso, allora cerchiamo di usare materiale il più compostabili possibili e che garantiscano un’adeguata durevolezza e resistenza.
Quel materiale si chiama BAGASSA! (per gli amici sardi, non è come pensate…)
Questo fantastico materiale viene ottenuto dalla canna da zucchero dopo che questa viene pressata per estrarre succo e melassa. In pratica viene prodotta con un materiale di scarto.
La cosa fantastica è che mentre la plastica deriva dal petrolio, che è una risorsa limitata, ogni anno vengono ad oggi prodotte 1,45 miliardi di tonnellate di canne da zucchero.
Insomma, sulla bagassa ci si può contare!
8 – RIFIUTI – RIPRESI
Esistono poi quei rifiuti, che tanto rifiuti non sono perché hanno ancora da dare. Spesso sono vere e proprie materie prime (se non inquinate a loro volta). Pensate alla cenere dei forni per la pizza. Quelli ovviamente dove il fuoco viene prodotto solo ed esclusivamente da legna…i pizzaioli sanno di che parlo.
Ma anche i fondi di caffè. Quanti ne producono quei bar che fanno anche 5 chili di caffè al giorno?
Con la cenere si pulisce benissimo l’acciaio inox, utile anche per pulire il vetro, i decanter in particolare. Si può usare per rendere meno acido un terreno coltivato o per arricchire il compost.
Anche i fondi di caffè solo utili per l’agricoltura, ma per esempio possono essere usati per allontanare le formiche (in cucina a volte possono essere un problema serio).
Se ben asciutti, possono essere usati come deodoranti per i frigoriferi grazie alla loro capacità di assorbire gli odori.
Valutate bene di gettare qualcosa e pensate che se sono un rifiuto per voi, possono non esserlo per altri, magari anche disposti a pagarveli se saprete rendere quel rifiuto qualcosa di prezioso.
Ps: mentre scrivo questo articolo ho scoperto che ci fanno anche il pellet con i fondi del caffè.
9 – ZUCCHERO IN BUSTINA
L’impatto ambientale, l’ecosostenibilità passa per quei gesti fatti con disinvoltura. Semplici, banali, senza pensarci troppo.
Eppure questa noncuranza ogni anno crea ben 40 milioni di chili di rifiuti aggiuntivi, oltre all’enorme spreco di prodotto per le bustine usate a metà.
La FIPE nel 2018 lanciò l’hashtag #usalazuccheriera come monito a usarla al posto della bustina monodose. E avevano ragione!
Il confronto infatti non lascia dubbi: 92,6 milioni di euro di bustine contro l’equivalente di 29,2 milioni che potrebbero essere spesi con le zuccheriere.
Si parla di uno spreco di prodotto (quello causato dall’uso della bustina) di prodotto pari al 42,9%, a cui va aggiunto lo spreco di carta delle monoconfezioni e una maggiorazione dei costi del 63,5%
Seriamente, che scuse avete per usare ancora le bustine?
Non solo al bar ma pensate al ristorante.
Pensate al cameriere che porta il caffè e chiede: “Zucchero?” andando poi a servire lo zucchero come se fosse pepe da macinare fresco su una tartare di pregiata fassona!
Sfruttate l’occasione di avere un’impatto ambientale minore per avere un impatto verso il cliente migliore!
10 – LA STAGIONALITÀ
Infine va ricordato quello che ormai dovrebbe essere una priorità per chiunque manipoli materi prima, che sia la cucina di un ristorante, o un cocktail bar con i suoi homemade e succhi freschi: la stagionalità.
Non si tratta solo di educare il cliente, o comprare prodotti ad un prezzo congruo (perché c’è da ricordare che le fragola a Maggio/Giugno costano anche meno e sono più buone!).
La stagionalità significa anche evitare trasporti e quindi inquinamento, per portare sulla tavola prodotti fuori stagione nel nostro paese.
Non vuol dire necessariamente privarsi di prodotti esotici. Questo è un altro discorso che riguarda il km zero, e la tradizione.
La stagionalità è più semplice ma può avere un impatto ben maggiore.
Non solo per frutta e verdura ma specialmente per la carne e ancora di più per il pesce. Poter comprare carne di manzo direttamente dall’allevatore locale solo quando l’animale è pronto alla macellazione, acquistando non solo le parti più conosciute come il filetto, permette di avere un margine migliore sull'intero acquisto.
Lavorare solo pesce pescato garantisce una genuinità del prodotto e al contempo combatte lo scempio causato da allevamenti intensivi.
Alcuni di questi 10 punti sembrano impossibili da adottare.
Alcuni non riguardano il tuo ambito lavorativo.
Ma ricordati, oggi non servono azioni eclatanti, ma una condivisione di intenti.
E tu in quanti pensi di essere già sostenibile?