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Comunicazione politica e cucina
Dai banchetti ai social media
Il cibo è una rappresentazione del potere. Fin dai banchetti delle corti medievali in cui l'ostentazione delle proprie ricchezze – e, quindi, del proprio prestigio – passava anzitutto dalla ricercatezza, dall'esoticità e dell'abbondanza delle pietanze offerte ai commensali. Allo stesso modo, i signorotti di quei periodi si conquistavano il favore popolare dispensando gratuitamente cibo, con un atteggiamento paternalistico atto a dimostrare la magnanimità del regnante e la sua attenzione alle reali problematiche dei suoi sudditi. Inoltre, attraverso il cibo è possibile veicolare un certo numero di valori quali l'appartenenza a una data comunità, dall'identificazione con uno stato nazionale a quella con un credo religioso o una fede politica. Ecco che, per noi italiani, la pizza (per fare soltanto un esempio) diventa immediatamente simbolo culturale di orgoglio ed emblema di un'immagine nella quale riconoscersi in quanto erede di una certa tradizione.
Anche nelle espressioni d'uso comune, il cibo viene spesso associato alla politica in chiave negativa, per descrivere l'atteggiamento “ingordo” (per l'appunto) della casta politica. Dire che è tutto un “magna-magna” è un modo di dire tanto comune quanto esemplificativo di tale parallelismo che, anche se inconscio, quotidianamente facciamo. In letteratura, rappresentazioni di questo tipo non sono affatto rare e, volendo citarne una particolarmente significativa, diremo con Longanesi che «tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola». L'autore, in questo caso, intendeva descrivere in maniera chiara e comprensibile lo stato di corruzione nel quale versava la politica del suo tempo. Ma la gola non è soltanto un vizio dei politici, bensì di tutti quanti. La politica lo sa e perciò – tutt'oggi – se ne serve: per comunicare, strumentalizzare, trasmettere valori o modificare opinioni e punti di vista.
Cucina e comunicazione politica in Italia
Vedremo ora, brevemente, gli episodi più significativi che hanno riguardato la comunicazione politica italiana degli ultimi trent'anni, mostrando esempi significativi di come il cibo possa essere utilizzato dai politici per parlare direttamente – è proprio il caso di dirlo – alla “pancia” degli italiani. Tutto cominciò il 13 ottobre del 1997, durante la nota trasmissione Porta a Porta. Lì si vide il leader di un partito, il democratico Massimo D'Alema, intento a cucinare un risotto. Evidente è la strategia perseguita dallo spin doctor: smussare l'immagine del leader e tentare di suscitare empatia nell'elettorato che lo percepiva come una figura distante dalla realtà. Quell'episodio segnò definitivamente l'inizio dell'epoca in cui i confini tra politica e intrattenimento andranno sfumandosi, il cui celebre apripista fu indubbiamente Silvio Berlusconi.
Parimenti propagandistico è l'opposto dell'ostentazione del cibo, ossia la sua negazione. In ambito progressista, ad esempio, i numerosi scioperi della fame – e, talvolta, anche della sete – del radicale Marco Pannella hanno fatto scuola. Una delle ultime grandi mosse gastro-diplomatiche del Cavaliere fu quella di sostenere la causa animalista di Michela Vittoria Brambilla, facendosi ritrarre mentre abbracciava un agnellino per denunciare la mattanza che di lì a poco si sarebbe compiuta in occasione delle festività pasquali. Sul versante opposto, il governatore del Veneto Zaia che, mostrando i granchi blu in conferenza stampa, esclamò: «mangiateli!», poiché questa specie aliena e invasiva minacciava gli allevamenti di vongole dell’Adriatico e tutto l'equilibrio ecosistemico locale.
Cucina e politica nel mondo
Soft power e “gastrodiplomazia”
Finora abbiamo parlato di esempi goliardici e nemmeno troppo eclatanti, utili al più per farsi una chiacchierata tra amici. Eppure, la connessione tra cibo e politica è ben più di questo. La cucina è infatti capace di travalicare i confini nazionali e di porsi come intermedio tra nazioni e popoli tanto che, oggi, molti studiosi parlano di gastrodiplomazia, uno strumento di soft power sempre più centrale nelle relazioni politiche transnazionali.
Sempre per rimanere da noi, pensiamo al “Menù del Quirinale”: la lista dei piatti che, durante le pompose cene di Stato, deve raccontare ai leader politici esteri e agli altri ospiti illustri la nostra identità, mettendo in tavola chi siamo e le ragioni per le quali sarebbe vantaggioso stringere accordi con il nostro Paese. Ma, si sa, de gustibus non est disputandum e non sempre ciò che rappresenta l'eccellenza per qualcuno dev'essere universalmente riconosciuto come tale. Recentemente, il presidente brasiliano Lula si è lamentato dell'offerta gastronomica delle due cene di Stato a cui è stato ospite dicendo che «tutto è molto sofisticato, e talvolta non capisci neppure di cosa si tratta».
Gastro-politica d'oltreoceano
E come si comportano altrove nel mondo? Che ruolo riveste il cibo all'interno della comunicazione politica di altri Paesi? Praticamente il medesimo ruolo che svolge qui da noi, sebbene diverse siano le modalità e le situazioni specifiche in cui si ricorre alla cucina per veicolare determinati messaggi piuttosto che altri. Qualche anno fa, ad esempio, l'OMS lanciò un allarme sulla potenziale pericolosità del consumo di carni rosse lavorate e, di tutta risposta, l'allora presidente Barack Obama si fece ritrarre a bordo dell'Air Force One intento ad addentare un hamburger di manzo con salsa piccante, formaggio e bacon. Allo stesso modo, Fumio Kishida, ex primo ministro giapponese, che si è mostrato mentre mangiava pesce crudo pescato nell'area di Fukushima, dopo lo sversamento del liquido di raffreddamento conseguente all'incidente che ha coinvolto la centrale nucleare.
Una delle più significative campagne politiche degli ultimi anni, in cui il cibo rivestito un ruolo centrale, è l'iniziativa Let’s Move! promossa dalla first lady Michelle Obama. Scopo del progetto era quello di incoraggiare tutti i cittadini americani, a cominciare dai più piccoli a regolare il proprio stile di vita scegliendo di adottare un regime alimentare più sano ed equilibrato, e a praticare regolarmente attività fisica. Infatti, obesità e sovrappeso riguardano circa un americano su tre, e il trend negativo è in crescita, ragion per cui è necessario un repentino cambio di rotta che la Obama, coinvolgendo scuole, amministrazioni locali, ordini dei medici e servizi sociali ha tentato di mettere al centro dell’agenda politica e dell'opinione pubblica.