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Una breve storia della birra
Le origini: Mezzaluna fertile ed Egitto
Delle antiche popolazioni mesopotamiche ci rimangono diversi reperti di grandissimo interesse. Tra questi, il Codice di Hammurabi, uno dei più importanti sovrani babilonesi che fece incidere, su tavolette di argilla, ben 282 articoli in caratteri cuneiformi. In queste righe, tra norme e regole di vita sociale, vi si possono trovare dettagliatamente descritte le procedure per ottenere la se-bar-bi-sag (letteralmente la “bevanda che fa vedere chiaro”), ossia la birra. Sorprendentemente, le fasi del processo brassicolo descritte nei codici hammurabici sono rimaste sostanzialmente invariate nel tempo: maltazione, macinatura, fermentazione, cottura, filtraggio e, infine, aromatizzazione. Il gal-bi-sag, ossia il mastro birraio di allora, era una figura di spicco, l’unico che poteva legittimamente produrre birra all’interno delle cantine reali, sotto lo stretto controllo del re. Diffusa era altresì l’autoproduzione, che doveva comunque sottostare al pagamento di imposte e a rigidi controlli governativi, ai fini di regolamentarne e limitarne la produzione. Anche nell’Epopea di Gilgamesh, poema epico antichissimo da cui hanno origine diversi racconti biblici e omerici, si fa spesso riferimento alla birra, esaltandone la sua dimensione sacrale e corroborante assieme. Pressoché in contemporanea, sulla riva meridionale del Mediterraneo, gli Egizi cominciarono la produzione di una bevanda analoga, detta zythum (se chiara) o curmy (se scura). A differenza di Sumeri e Babilonesi, però, gli Egizi introdussero il processo di maltazione soltanto in un secondo momento e preferirono utilizzare miele di datteri e cannella – anziché salvia e rosmarino – per aromatizzare la bevanda. A livello sociale, la birra nell’Antico Egitto rivestiva un ruolo cruciale, accompagnando gli individui lungo tutto l’arco della loro vita. Da lattanti, infatti, gli egizi venivano svezzati con un beverone composto da zythum, acqua, miele e farina d’orzo; poi, da più grandi, ricevevano in dono una piccola anfora corrispondente alla quantità massima di birra che avrebbero potuto consumare quotidianamente. Anfora che, soltanto se degni di aspirare all’immortalità, li avrebbe accompagnati anche nella tomba, non prima però di aver preparato la salma per la mummificazione, lavandola accuratamente con la birra, a sottolineare la valenza sacra della bevanda.
Il “vino d’orzo” dei barbari
In seguito, con la civiltà greca, la birra perse parte del suo prestigio, facendo guadagnare terreno al vino (come vedremo meglio in seguito). I greci, perlopiù, consideravano la birra prerogativa degli uomini rozzi e incivili – i cosiddetti “barbari” – e la chiamavano con disprezzo vino d’orzo, non avendo altro nome con cui indicarla. Eschilo, per prendersi gioco dell’Egitto, scrive che «gli abitanti non sono uomini veri, ma uomini che bevono vino d’orzo», mentre i “veri uomini” bevono vino: bevanda che richiede conoscenze profonde e un grado di civilizzazione superiore per poter essere prodotta e apprezzata. Bevanda rudimentale e inferiore al vino, eppure presente in alcuni rituali, tra cui quelli sacri a Demetra, dea dei campi, dell’agricoltura e della fertilità. Ogni anno, in primavera, si tenevano delle cerimonie segrete, riservate alle donne, in cui venivano offerte alla dea e consumate generose quantità di birra. I dettagli di questi antichi culti sono sconosciuti, ma possiamo supporre che è proprio per questa ragione che la birra fu, presso quei popoli, considerata una bevanda prettamente femminile. I romani, lo sappiamo, ereditarono dai greci gran parte delle loro tradizioni e usanze, anche per quanto riguarda la predilezione per il vino e l’avversione per la birra. Nella sua Naturalis Historia, Plinio il Vecchio ci fa sapere che la birra, a Roma, era poco consumata e veniva utilizzata essenzialmente nella cosmetica, per la pulizia del viso o come nutrimento per la pelle. Nelle province dell’impero, invece, la birra era largamente apprezzata. Dalla Francia all’Egitto, dalla penisola iberica all’Inghilterra, la birra veniva consumata in grandi quantità e prodotta secondo ricette diverse a seconda dell’area di produzione. Nell’opera di Plinio, lo storico riporta nei dettagli i procedimenti per ottenere due tipologie di birra molto in voga all’epoca: la zythum egizia e la cerevisia gallica (il cui nome risuona ancora oggi nello spagnolo cerveza o nel portoghese cerveja).
Una breve storia del vino
Dal Caucaso al Mediterraneo
Per quel che riguarda l’origine del vino, la storia procede in maniera pressoché parallela a quella della birra, perlomeno fino a un certo punto. Infatti, risalgono a cinque-seimila anni fa i più antichi reperti archeologici che collocano la scoperta della vinificazione nel Caucaso, precisamente nella zona corrispondente alle attuali Georgia, Armenia e Azerbaigian. Altrove, abbiamo parlato di come i qvevri – le tradizionali anfore di terracotta georgiane – abbiano svolto un ruolo primario tanto nella produzione quanto nel trasporto del vino, permettendo alla bevanda di viaggiare e di farsi conoscere dai popoli mediterranei. Per gli Egizi, che furono abilissimi nella coltivazione della vite e nel processo di vinificazione, il vino incominciò ad assumere un certo grado di sacralità, com’è largamente testimoniato dai reperti archeologici in nostro possesso. Ma fu con i Greci prima, e coi Romani poi, che il vino guadagnò la fama che conserva tutt’oggi. Nell’Antica Grecia il succo della vite divenne sinonimo di civiltà e di raffinatezza intellettuale, divenendo elemento imprescindibile della vita sociale e religiosa della polis. Persino durante i simposi, i noti banchetti in cui le personalità più colte si incontravano per discutere e confrontarsi, il vino non poteva mancare. Anzi, prima ancora di scegliere l’argomento della conversazione, si stabiliva la quantità di vino che ciascuno avrebbe dovuto consumare durante la serata, e in che misura diluirlo. A Roma il vino fu definitivamente sdoganato e diventò una presenza costante nella vita di tutti, dai ricchi patrizi al popolo, tanto che nacquero le popinae e le tabernae vinariae: luoghi in cui poter acquistare vino sfuso a poco prezzo, simili ai più moderni locali di mescita e ad alcune vinerie tradizionali. I romani amavano a tal punto il vino che esportarono la viticoltura in tutto l’impero, anche nei territori più impensabili (come l’Inghilterra), permettendo così alla produzione vitivinicola di affermarsi in tutto il bacino del Mediterraneo.
Dioniso, Bacco e Gesù Cristo
Se, da un lato, è vero – come sostenevano i greci – che il vino richiede maggiori conoscenze e tecniche più raffinate per essere prodotto rispetto alla birra, d’altro lato non è possibile indicare soltanto in questo elemento la disparità di considerazione delle due bevande, oggi come ieri. Azzardiamo un’ipotesi: se, nell’Antichità, il vino ha avuto un enorme successo, mentre la birra è stata spesso osteggiata o comunque scarsamente apprezzata, non è che la ragione risiede negli attributi mistico-religiosi di uno rispetto all’altra? Pensiamoci un attimo: Dioniso, nel pantheon greco (così come Bacco per la religione romana), era una divinità di grande rilevanza, protettore del vino e dell’ebbrezza, a cui era sacra la pianta della vite. Tanto celebri quanto misteriose alcune delle celebrazioni in suo onore: i cosiddetti riti misterici, ossia riservati agli iniziati. Tipicamente donne, le baccanti (o menadi) si incontravano di notte, lontano dalla città, abbandonandosi all’invasamento divino, cioè all’identificazione con il dio che avveniva tramite danze sfrenate, canti estatici e consumo abbondante di vino. Nonostante una tale ritualizzazione, il vino era prerogativa di una divinità che non godeva di fama universale. Bisognerà attendere il Gesù dei Vangeli che, secondo la vicenda biblica, durante l’ultima cena prima della sua crocifissione istituì il sacramento dell’eucarestia, trasformando il pane e il vino in corpo e in sangue di Cristo. Con questo gesto, il vino si eleva a emblema della divinità, bevanda sacra per il cristianesimo poiché, grazie al miracolo della transustanziazione, muta la sua natura identificandosi con Dio.
Vino vs. birra. Lo scontro continua
Oggi, possiamo dichiarare superati gran parte dei pregiudizi antichi, sebbene esistano ancora due fazioni contrapposte: da una parte gli amanti del vino, dall’altra i cultori della birra. In Italia, terra a vocazione vitivinicola fin dall’Antichità, è solamente negli ultimi quindici-vent’anni che si è potuto assistere a un vero e proprio “rinascimento brassicolo”, con la comparsa di centinaia di microbirrifici artigianali che, con i loro prodotti di eccellenza, mirano a ritagliarsi il proprio spazio in un mercato quasi totalmente interessato al vino.