La pratica di servire ai tavoli è antichissima. Già i Romani, durante i convivia dei patrizi, potevano contare su diverse figure più o meno specializzate. Ma in passato, la gran parte di queste persone si trovavano in uno stato di schiavitù, costrette a soddisfare bisogni ed esigenze del padrone. Facendo un balzo in avanti, prima nel Medioevo e poi nel Rinascimento, si inizierà a notare come, tra le corti nobiliari, si cominci a delineare tutta una serie di professionalità, esperte nello svolgimento di determinati compiti. Scopriamole assieme!
Lo scalco: il maître dei banchetti
Sebbene oggi il termine “scalco” non ci dica più molto, questa specie di maître ante litteram è stato in assoluto una delle figure più conosciute e importanti delle corti medievali e rinascimentali. La parola deriva dal gotico skalke, ovvero “servo” e si diffuse nel Trecento per indicare l’arte dello “scalcare”, cioè di tagliare e dividere le carni. Attività divenuta poi di pertinenza del trinciante, come vedremo, mentre la figura dello scalco acquisì un’importanza via via crescente, fino a guadagnarsi un posto di spicco nella società di allora.
Professionalità, status e competenza
Le corti medievali potevano contare su uno staff numerosissimo per l’organizzazione e la gestione degli sfarzosi banchetti che erano solite ospitare. Camerieri, dispensieri, cuochi, musici, bottiglieri, trincianti e spenditori erano soltanto alcuni degli addetti ai lavori durante queste pantagrueliche messinscene. Per soddisfare gli elevati standard di raffinatezza ed eleganza richiesti dal padrone di casa, a un certo punto, si è resa necessaria una figura altamente specializzata, che – tra le altre cose – avesse il compito di dirigere il lavoro di tutti, garantendo la riuscita della performance e vigilando su tutte le fasi del servizio.
Tra i responsabili di sala più conosciuti dell’epoca, vale la pena ricordare Cristoforo Messi. Meglio noto come “Messisbugo”, fu scalco maggiore presso la corte estense agli inizi del Cinquecento e pubblicò Banchetti, compositione di vivande et apparecchio generale, opera che rappresenta uno dei più importanti contributi sul tema giunti fino ai giorni nostri. Altro nome noto è quello di Domenico Romoli, detto “il Panonto” che nel suo libro intitolato La singolar dottrina descrive lo scalco come una «figura primaria appartenente ad una condizione sociale abbastanza elevata, tale da consentirgli di conoscere le cose di cucina non meno che la vita di Corte o gli scrittori classici e moderni».
Molto più di un responsabile di sala
La direzione di tutti i lavoratori di corte – o delle brigate di sala e cucina, come diremmo oggi – era un compito estremamente delicato poiché lo scalco doveva essere in grado di farsi ubbidire, convincendo gli altri lavoratori alla collaborazione in vista del soddisfacimento del principe. Per riuscire ad assolvere i propri compiti si consultava con tutti, nonostante spettassero sempre a lui le decisioni finali. Così, dai cuochi apprendeva le esigenze della cucina, sulla cui base procedeva agli ordini e ai rifornimenti, grazie alle ingenti somme di cui poteva disporre a tal proposito.
Inoltre, rientravano tra le sue mansioni la scelta e la compilazione dei complessi menù dell’epoca, tenendo conto di una molteplicità di fattori: gusti personali degli ospiti, ricorrenze religiose, disponibilità alimentari e stagionalità dei prodotti (secoli prima dell’invenzione dei frigoriferi, questa non era una scelta etico-ambientale, bensì una necessità). Nella progettazione del banchetto, inoltre, lo scalco doveva tener ben presente il volere del suo signore, organizzando di conseguenza ogni aspetto del servizio. Insomma, lo scalco era certamente un ruolo di prestigio, ma anche di enorme responsabilità, un po’ come gli attuali responsabili dei ristoranti il cui compito è assicurarsi che tutto vada per il meglio.
Prima del sommelier, il coppiere
Il sommelier è oggi una figura professionale riconosciuta e diffusissima, che raccoglie una moltitudine di appasionati, esperti e addetti ai lavori. Per comprenderne l’importanza, basti pensare all’enorme successo di cui godono l’AIS (Associazione Italiana Sommelier), la FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori) e l’ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino), tra le principali associazioni che offrono corsi di degustazione rivolti ad amatori e professionisti. Secoli prima che si codificasse un certo approccio, però, esistevano già delle figure analoghe, decisamente determinanti per la buona riuscita di un banchetto.
L’expertise enologica ed enogastronomica
Oggi come allora, un banchetto non può definirsi tale senza il vino. E, data la complessità dell’orizzonte enologico e dei possibili abbinamenti cibo-vino, è indispensabile che vi siano figure preposte alla selezione e alla mescita delle bevande durante il pasto. Prima dei moderni sommelier e delle loro competenze altamente strutturate, le corti medievali potevano affidarsi alle conoscenze di una figura professionale nota come coppiere e del suo sottoposto, il cosiddetto bottigliere.
Il primo, di rango superiore, era colui che si occupava di servire i calici al tavolo del padrone – i bicchieri infatti, così come le posate, non venivano collocati sulle tavole –; il secondo, invece, era incaricato di assaggiare i vini per comprovarne la salubrità, di miscelarli correttamente con l’acqua e di rabboccare le brocche vuote. Essendo entrambi responsabili di ciò che bevevano i signori, doveva necessariamente trattarsi di persone esperte, tanto delle caratteristiche organolettiche dei vini quanto delle concordanze enogastronomiche. Come avverte il Panonto: «un bottigliere e un coppiere è necessario abbiano gusto, sapore e odore e che essi sian bevitori e non bomboli [cioè beoni]».
Ruoli diversi, stesse responsabilità
Sebbene coppiere e bottigliere fossero figure ben diverse, di cui soltanto il primo godeva di un certo prestigio sociale, le responsabilità e competenze di entrambi doveva essere pressoché le medesime. Infatti, come ci fa sapere Francesco Liberati ne Il perfetto Maestro di Casa, il bottigliere, alla stregua del coppiere, «deve essere persona fedelissima maneggiando anch’egli la bocca del padrone. Deve essere intelligente nel far l’acque concie di diverse maniere, senza prender più zuccaro di quello è bisogno; intenderassi de’ vini e sarà esquisitamente polito nel servitio, né permetterà che il suo Signore beva vini, che non siano di perfetta sanità, né acconsenta che alcuno si accosti al tavolino, e vasi da lui preparati, e tanto meno che altri beva ne’ bicchieri dove è solito bere il padrone».
Il fatto che oggi, nei ristoranti che lo prevedono, il sommelier sia generalmente soltanto uno, dipende da diversi fattori. Certamente, molte delle mansioni di pertinenza del bottigliere non sono più necessarie: dalla miscelazione con acqua all’imbottigliamento. Il vino, infatti, si beve puro, versato da bottiglie preconfezionate e che non richiedono più l’onere dell’assaggio per il timore di possibili avvelenamenti.
La perduta arte del trinciante
A completare questa breve presentazione di alcune delle figure più in vista dei banchetti barocchi, il trinciante. Egli godeva di una fama notevole, dovuta in particolar modo alla natura spettacolare della propria attività, che consisteva nella porzionatura delle carni “in aria”. Data la complessità del compito, le grandi abilità tecniche di questa particolarissima figura professionale erano molto ammirate dai commensali e ricercate dai signori, poiché avevano un ruolo determinante nel dar lustro al pasto e a coloro che lo ospitavano.
Forza, eleganza e abilità tecnica
All’epoca, nemmeno tra le corti nobiliari, erano in uso le posate, bensì si mangiava con le mani. Di qui, la necessità del trinciante, membro di spicco delle “brigate” barocche, a cui spettava il privilegio di porzionare le carni per tutti i commensali. Le sue abilità tecniche gli garantivano un certo prestigio sociale, tanto da poter «farsi un piatto per la bocca sua» a fine servizio, assieme a scalco e coppiere. Prima che i ruoli si definissero, durante i banchetti la porzionatura dei cibi era affidata a umili servitori, ma il ruolo venne ben presto riservato a membri dell’élite aristocratica, trattandosi di una vera e propria celebrazione di forza, destrezza ed eleganza.
Tra questi, Vincenzo Cervio, uno dei più noti anche grazie all’opera Il trinciante, da lui stesso data alle stampe nel 1593. Da queste pagine è possibile scoprire molti dettagli di questa figura professionale, a partire dall’esistenza – a Roma – di una scuola di formazione dedicata, tra le più rinomate d’Europa. Inoltre, nel testo viene accuratamente descritta la cerimonia del taglio: una volta che il Signore indicava il proprio pezzo di carne preferito, il trinciante lo prendeva con la forzina (un grosso forchettone a due punte) e, in seguito, lo tagliava tenendolo sospeso per aria, con l’aiuto di un grosso coltello di fine fattura, piuttosto simile a una spada. I bocconi, raccolti ordinatamente in un vassoio, venivano a questo punto cosparsi con un pizzico di sale e serviti al padrone.
Spettacolarizzazione del servizio oggi
Nei ristoranti di oggi le cose sono molto diverse da allora, eppure è possibile ritrovare alcune tracce di quella medesima volontà di spettacolarizzazione del servizio. Nei ristoranti d’alta fascia, soprattutto, non è insolito che i camerieri finiscano alcuni piatti al tavolo: grattugiando del buon tartufo, versando una salsa o mantecando la pasta in uno shaker (come la famosa carbonara stellata dello chef Giuseppe Di Iorio del ristorante Aroma).
Per ritrovare invece quella celebrazione esasperata che rappresentava la cifra del banchetto rinascimentale, possiamo rivolgerci a una scena del film Hunger del 2023. Sul finale del film, dopo il riscatto sociale della protagonista Aoy, il suo geniale e dispotico maestro Chef Paul dà una spavalda dimostrazione delle proprie abilità tecniche cucinando un grosso manzo intero direttamente sul fuoco, tagliandolo e servendolo ai suoi facoltosi commensali-spettatori.