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Il provvedimento, voluto da FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) rappresenta un importante passo avanti per tutelare consumatori e imprese, prevedendo il divieto di acquistare o vendere recensioni online, l’obbligo di eliminare i commenti non autentici e la pubblicazione delle sole recensioni provenienti da clienti che abbiano effettivamente usufruito del servizio.
Ma era così importante legiferare al riguardo?
Secondo un "recente sondaggio di Fipe" il 65,5% dei consumatori, prima di scegliere un ristorante, legge le recensioni online, attribuendogli un’importanza centrale per farsi un’idea sul servizio offerto, sulle pietanze e sull’atmosfera generale del locale.
Il virgolettato è dovuto al fatto che tali sondaggi sono a dir poco relativi.
Proviamo invece a calarci nella realtà di tutti i giorni, di quando chiunque di noi si trova a dover valutare un locale senza esserci mai stato.
Sicuramente le recensioni possono essere uno strumento, seppur parziale, per darci un'idea, ma in effetti di una recensione cosa si guarda?
Io per esempio su Google osservo le immagini. Ma la verità è che se quelle immagini sono già presenti e ben dettagliate sul profilo instagram o sul sito del locale che ipotizzo di visitare, avrò certamente una descrizione e informazione sufficiente a crearmi una valutazione.
Ovviamente la recensione scritta di un cliente ci può raccontare la qualità del servizio, l'atmosfera e tutti quei fattori che una foto o un video non posso raccontare. Ma restano impressioni soggettive, a differenza delle immagini, foto e video che raccontano direttamente non solo l'offerta ma in qualche modo anche la cura al dettaglio.
Perché se visitando il profilo Instagram di un locale, ci troviamo una griglia organizzata di contenuti, un panel di storie in evidenza utili a descrivere l'offerta del locale e i suoi arredi, questo ci darà, almeno nella teoria, l'idea di un locale ben organizzato e strutturato, che a livello di comunicazione indiretta si traduce in un servizio attento e curato.
Un passo è fatto, ora serve definire un percorso.
Certamente legiferare riguardo recensioni fasulle e soprattutto l'acquisizione di recensioni positive atte a inquinare il reale giudizio popolare online, è ed era qualcosa che andava fatto (già da tempo!).
Quello che però forse un'associazione di categoria dovrebbe fare è rendere i propri iscritti capaci di autodeterminarsi piuttosto che essere dipendenti dalle nuove mode del mercato.
In una vecchia puntata di Mise en Place, nel lontano 2017 descrissi come i titolari del BOTTO BISTROT di San Francisco riuscirono a raggirare i meccanismi, ben peggiori, di Yelp (il Trip Advisor americano per intenderci).
Per chi non avesse visto quella puntata, in pratica il duo di ristoratori (N.B.: italiani!) stufi del ricatto della piattaforma che in soldoni si faceva pagare per far sparire recensioni negative di dubbia provenienza, decisero di offrire ai propri clienti una scontistica per chiunque avrebbe lasciato una stella sul loro profilo. In tempo record divennero il peggior ristorante degli Stati Uniti...che tutti però volevano visitare!
Il problema di fondo è quello di decidere di combattere questi fenomeni entrando e rafforzando quello che in gergo si chiama "frame comunicativo" del nemico. In poche parole si vuole creare una legge per rendere migliore il terreno di gioco per i ristoratori, ma forse bisognerebbe pensare che la soluzione e non entrarci per niente in quel terreno di gioco.
In fin dei conti è lo stesso Roberto Calugi, Direttore Generale di FIPE-Confcommercio a dire che - "Le recensioni false non solo distorcono la concorrenza e danneggiano l’immagine di tante imprese che lavorano con professionalità e serietà, ma rappresentano anche una truffa per i consumatori. Tutelare la trasparenza e la correttezza – prosegue Calugi – è fondamentale per rafforzare la fiducia dei clienti e promuovere una competizione sana e leale".
Stiamo quindi sancendo il fatto che l'immagine del nostro settore debba passare per questi strumenti?
Oppure, anziché limitarci a regolamentare le recensioni, dovremmo prendere in mano la nostra immagine, diventando protagonisti del terreno di gioco, invece di lasciare che sia determinata da una multinazionale con sede legale in Olanda.