La "nuova" convivialità del social eating

Il social eating: una nuova tendenza dalle radici antiche. Quando sono sempre meno le occasioni per stare insieme e condividere spazi e momenti, ritorna la voglia di incontrarsi per cucinare e mangiare assieme, riscoprendo quell'ancestrale convivialità quasi dimenticata.
La "nuova" convivialità del social eating

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Com'è ormai consuetudine negli ultimi anni, parlare di cibo non ha mai soltanto a che fare con il mero atto del nutrirsi. Oggi, ogniqualvolta si mangia, si è alla ricerca di un'esperienza totale che, oltre al corpo, sazi anche lo "spirito". Su questa scia, è qualche tempo che il cosiddetto "social eating" è pratica sempre più diffusa, capace di riscrivere il nostro usuale concetto di convivialità. Un bisogno quello di stare assieme impellente, specie in un'epoca in cui, al moltiplicarsi delle connessioni digitali, quasi si azzerano i contatti umani. Un potente strumento di contrasto all'isolamento metropolitano, un intelligente connubio di tradizione enogastronomica e innovazione tecnologica che riesce ad unire degli sconosciuti attorno alla stessa tavola. Che sia un aperitivo, una cena informale, un workshop o una cooking class, inquadrare cibo e cucina in un'ottica di condivisione si sta (ri-)affermando come vettore di benessere psicofisico, recuperando una dimensione ancestrale troppo spesso accantonata.

Che cosa s'intende con social eating?

Solitudine e isolamento sono due grandi problemi dei nostri tempi, specie per chi vive in una grande città (che è, poi, una fetta consistente della popolazione). Anche il momento del pasto è sempre più tristemente simile a uno spuntino random, consumato veloce, spesso in piedi e senza badare molto al valore nutrizionale di ciò che si sta ingurgitando. Da qui, nasce il concetto di social eating, con l'intento di riportare il pasto alla sua dimensione originaria, trasformandolo in un rituale collettivo in cui ciascuno è compartecipe dell'esperienza collettiva. Mangiare insieme, nel social eating, diventa così un atto simbolico di apertura verso l'altro, un invito alla condivisione che va ben al di là di un piatto, ma che coinvolge e unisce persone, storie e culture.

Una semplice cena, così, diventa il pretesto per abbattere le barriere fra sconosciuti e il cibo diventa un catalizzatore di relazioni, capace di favorire il dialogo e lo scambio tra i commensali. Che sia in una casa privata o in uno spazio sui generis, il social eating può prevedere che i partecipanti condividano anche il momento della preparazione del pasto (in questo caso, si parla più propriamente di social cooking), altro momento cruciale che, a partire dal confronto di tradizioni culinarie differenti, favorisce un intreccio culturale unico e decisamente interessante. Alla solitudine delle grigie metropoli, la pratica del social eating contrappone la volontà di incontrarsi, conoscersi e stare assieme, rafforzando (se non ricostruendo in toto) il concetto stesso di comunità.

Il social eating oggi

A cavalcare l'onda del social eating, diverse sono le iniziative (digitali e non) che propongono applicazioni interessanti di questa nuova modalità di condividere il momento del pasto. Tra le più note, vale la pena citare: Gnammo, piattaforma che offre la possibilità agli host di ospitare pranzi, cene ed eventi a casa propria, gestendo in maniera smart e intuitiva le prenotazioni; e Forketters, un progetto che si traduce nell'organizzazione di cene conviviali in location esclusive, creando momenti di social eating guidati da due professioniste del settore, Anna Prandoni e Chiara Buzzi.

Simile, ma che predilige esperienze di social cooking a 360°, si può ancora citare EatWith, piattaforma che permette di organizzare laboratori culinari, workshop, showcooking o altro ancora. Con l'idea che il cibo debba essere il pretesto per uno scambio culturale proficuo, EatWith connette i viaggiatori con host locali disposti a organizzare esperienze culinarie uniche, che spaziano da cene intime a laboratori di cucina tematici, offrendo un'occasione irripetibile per immergersi nelle tradizioni gastronomiche dei local.

Kevin Kniffin, autore dello studio Eating Together at the Firehouse.

Social eating e benessere aziendale

Non pensiate, però, che il social eating funzioni soltanto in contesti privati, tutt'altro! Nel mondo del lavoro, ad esempio, sono sempre più le aziende che prevedono mense interne – o, comunque, spazi condivisi – in cui i propri collaboratori possano stare assieme durante la pausa pranzo, trasformandola in un momento di socializzazione essenziale al miglioramento del benessere psicofisico di tutta la squadra. Fuori dal quotidiano, poi, stanno registrando buoni risultati iniziative di team building a tema culinario, ove ciascuno contribuisce alla preparazione di pasti comuni. Così facendo, il risultato immediato è quello di favorire la collaborazione tra colleghi e, al contempo, di abbattere le barriere gerarchiche, agevolando la strutturazione di un legame più sincero e duraturo.

Una conferma autorevole arriva, tra le altre, dalla Cornell University. Secondo uno studio (Eating Together at the Firehouse: How Workplace Commensality Relates to the Performance of Firefighters) svolto dal prestigioso ateneo newyorkese, infatti, i gruppi di lavoro abituati a condividere i pasti sono più produttivi rispetto a quelli che mangiano in solitaria. Lo studio in questione si poneva l’obiettivo di comprendere se tra colleghi che vivono la pausa pranzo in modo conviviale e altri che non lo fanno, vi siano differenze in termini di produttività; per farlo, ha preso in esame per quindici mesi il comportamento delle squadre di oltre cinquanta stazioni dei vigili del fuoco, confrontando le performance dei pompieri tra coloro che condividevano il pasto e chi non lo faceva. I dati raccolti, come spiega ironicamente Kevin Kniffin, professore di economia e autore della ricerca, ci dicono che «condividere un pasto è un’attività molto più intima del fatto di guardare insieme una tabella excel e quell’intimità si traduce nell’efficacia del lavoro di squadra».

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