LOSER / Storie di fallimenti - Fabio Tammaro

In un'epoca in cui i social sono pieni di vincitori, forse abbiamo da imparare anche da chi ha perso? Perché pensandoci bene cosa ci accomuna di più, le vittorie o le sconfitte?
LOSER / Storie di fallimenti - Fabio Tammaro

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Fabio Tammaro, 39 anni, nasce in provincia di Napoli a Castellammare di Stabia (anche se, ci tiene a sottolineare, i genitori sono di Torre Annunziata).
Attualmente vive a Verona, "attualmente" perché nella sua lunga carriera e vita ha vissuto in diverse città sia in Europa che in Italia. "Sono chef, lavoro che ho scelto, ho inseguito per anni, in cui ho creduto e in cui continuo ancora a credere oggi."
Lo conosciamo con OCCCA fin dai nostri esordi, che combaciarono più o meno con la sua storia di cuoco imprenditore del ristorante OFFICINA DEI SAPORI.



Fabio mi ricordi brevemente la storia dell'Officina?


L'Officina dei Sapori nasce nel 2010 grazie a una decina di imprenditori che mettono un po' di soldini a testa per fare il ristorante dei loro sogni. Era un'epoca diversa, molto più facile fare impresa ristorativa, con meno controlli e basti pensare senza fatturazione e ricevute elettroniche. Nel 2011 sono a Copenaghen quando uno dei soci mi convoca per fare un colloquio.
Lui mi inizia a parlare di cucina, io rispondono chiedendo i numeri.
Il buco che avevano dissi, li avrebbe divorati nel giro di tre mesi. Spaventati ma anche stimolati dalla mia analisi decidono di iniziare la collaborazione. Dopo 8 mesi ritorno dallo stesso socio/commercialista a cui propongo di mettere soldi nella società per diventare socio, chef e amministratore. Da li parte la mia storia con l'Officina dei Sapori.
I primi anni poco lavoro, male male anzi. Iniziamo a specializzarci sui crudi di pesce e vini naturali. Posso dire con orgoglio senza leccare il cul* a nessuno, non abbiamo mai invitato nessuno a mangiare a gratis e infatti abbiamo fatto molta fatica.
Poi nel 2016 la Michelin viene a mangiare e decide di metterci in guida.
A quel punto iniziamo a diventare un punto di riferimento, ma c'è voluto tanto, tante serate vuote, tante serate in cui i clienti si sedevano cercando il fritto di paranza o il vino da prezzo e senza trovarlo si alzavano e se ne andavano.
Poi è arrivato il Covid...

Ok. Ti fermo perché potresti spoilerare le prossime risposte.


LOSER parla dei fallimenti che tutti dobbiamo affrontare prima o poi, quale è stato il tuo?


Faccio fatica ad elencare tutti i miei fallimenti. Non perché sono tanti, ma perché tendiamo a dimenticarli e lasciarli andare, mentre invece tendiamo a ricordare i successi.
Per me il fallimento è una fetta importantissima della torta della vita, perché i più grandi insegnamenti li ho ricevuti dopo i fallimenti sia nel lavoro che nella vita personale e mi dispiace quando viene demonizzato, visto con giudizio negativo, vittima di gossip. Diventa così una mancata possibilità di crescita e analisi.
Non fa piacere a nessuno, ma se analizzato e contestualizzato resta l'insegnante più severo (ma anche più vero) che esiste.
A livello imprenditoriale non mi piace usare questa parola, anche se è molto schietta, perché vedo i fallimenti come la fine di un percorso, più o meno naturale, fisiologico, ed è l'approccio che ho usato anche dopo aver chiuso il mio ristorante dopo 11 anni di attività, non per fallimento finanziario, ma per la fine del percorso fisiologico.
Si era praticamente esaurita l'energia di quel luogo e chi meglio di me poteva vederlo in anticipo, prima che arrivasse la fase decadente?
Ho sempre trovato giusto essere sinceri, specialmente nel mercato della ristorazione.
Quando ho iniziato a intravedere la possibilità delle difficoltà che ci sarebbero state di lì a poco ho preso la decisione. L'imprenditore è una persona particolare, ha bisogno e deve pensare e agire velocemente. Anticipare i tempi e i fallimenti, le crepe.
C'è un bellissimo detto: "L'imprenditore è colui che si lancia dall'aereo, e mentre precipita si costruisce il paracadute". Mi piace pensarlo così.
Il fallimento non va demonizzato come parola, non va evitata, anzi va affrontata come parola ma non bisogna nemmeno fossilizzarsi su di essa.
Bisogna vedere il fallimento come la fine un percorso che sicuramente non era nato per giungere a quel punto esatto di rottura, ma probabilmente senza quel punto di rottura non si riuscirebbero a creare altri percorsi.

Secondo te, da cosa è dipeso il tuo fallimento?

Il mio più grande fallimento è dipeso dall'accellerazione temporale che è stata il Covid. Attenzione non è dipeso dalla pandemia, dall'arresto globale, i cambiamenti dei mercati e dei paramentri. Il Covid penso che sia stato questo, un'accelleratore temporale.
Tante dinamiche che sarebbero comunque arrivate in maniera naturale, con la pandemia si sono anticipate.
L'esigenze aziendali e le mie esigenze imprenditoriali sono arrivate in contrasto con quello che stava per arrivare. Ti faccio un esempio pratico.
L'Officina dei Sapori è sempre stato un ristorante piccolo, di qualità, con 12 tavoli, 13 quando riuscivamo a incastrarlo. Abbiamo sempre agito sul rapporto qualità prezzo, rivolgendoci ad un fascia medio alta.
L'esigenza del Covid era abbassare i costi fissi e la capienza, per la tipologia di lavoro che stavamo svolgendo. Ci ho provato per un periodo a traslocare il ristorante, ma mentre cercavo altri locali, altre case, e mentre facevo nuovi business plan su quel progetto mi rendevo conto che traslocare sarebbe significato una storia nuova, magari anche più bella, ma comunque qualcosa di diverso.
In un modo o nell'altro quel progetto, il progetto Officina dei Sapori sarebbe quindi terminato, o dove era (fallendo) o trasferendosi.

Come lo hai vissuto?

Sicuramente non bene.
Ho avuto una grandissima fortuna però, ovvero ho deciso io quando fallire e questo me l'ero imposto. Ho sempre pensato che la fine di un percorso viene metabolizzata ed è utile al percorso stesso se si decide di interromperla non per costrizione ma per decisione.
Il fatto di averlo deciso mi ha aiutato molto.
Ovviamente il giorno dopo quella decisione ti crolla la terra sotto i piedi. Io avevo già altri progetti per fortuna, difficilmente mi rendo passivo alle situazioni che mi arrivano, quindi ho tramutato il dolore del fallimento in occasione.
Il giorno stesso che ho chiuso ho aperto la partita iva e con essa la mia società di consulenza SEAFOOD CONSULTING e ho iniziato dopo una settimana a fare già consulenze, senza darmi tempo e modo di disperarmi.
Comunque è una ferita che c'è, il fatto che si sia marginata, che resti solo una cicatrice, non vuol dire che tocca far finta che non esista, è una storia bella da raccontare.
Ovviamente sempre se il fallimento viene gestito con intelligenza e con criterio. Io ho avuto la fortuna di chiudere senza ripercussioni finanziare, umane, senza lasciare collaboratori o fornitori a casa da un giorno all'altro.
Questi sono aspetti che vanno curati perché sono aspetti che ti rimangono attaccati.
Mi ritengo comunque fortunato perché ho vissuto il successo e il fallimento dello stesso progetto. Ci sono pochissime storie veramente lunghe, e non è nemmeno detto che quelle più lunghe siano le storie più interessanti da raccontare.

Sei riuscito a superarlo? Come?

Sono riuscito a superarlo grazie ai progetti che sono nati da questa esperienza, progetti a cui ho potuto dar vita grazie al lavoro fatto in tutti gli anni di Officina. Un lavoro fatto di credibilità, di sincerità. La possibilità di poter aprire porte che ti danno modo di poter bussare ad altre non è da tutti e sicuramente è stata una cosa piacevole per quanto mi riguarda e che mi ha aiutato nell'affrontare le nuove sfide.


Quello che non ti uccide insomma ti fortifica?


Certamente quello che non ti uccide ti fortifica, ma eviterei di usare queste frasi. La vita è un'altra cosa, noi come generazione imprenditoriale siamo poco abituati al fallimento. Negli U.S.A. viene vista come una cosa di cui vantarsi quasi, perché se hai fallito in un progetto probabilmente ne avrai altri in cui andrai bene. Noi, in Italia soprattutto, abbiamo questa concezione che la scelta imprenditoriale si leghi alla scelta di vita, quindi se apro un'azienda anche la mia vita deve seguire quella scelta e se fallisco nel primo, fallisco automaticamente nella seconda. Secondo me non c'è cosa più sbagliata, innanzitutto perché non è vero. Posso essere una persona meravigliosa ma sbagliare 10 progetti e comunque riuscire poi a farcela con 100. In ogni caso si impara sempre - "Meglio fare e sbagliare che non fare niente" - io ho sempre questa idea.
Bisogna avere le idee, bisogna avere gli strumenti, bisogna avere la disponibilità finanziaria. Però meglio fare e sbagliare e imparare, piuttosto che aspettare la Madonna che ti faccia la grazia perché sei un bravo cristiano...

Pensi che sarebbe stato meglio non perdere?

Non è facile rispondere, non voglio cadere nella retorica e falsità. Io credo che nessuno voglia perdere nella vita, ancor di più gli imprenditori. All' imprenditore da fastidio perdere qualunque cosa al di là del valore economico che possa avere, sicuramente è sempre meglio non perdere.
Allo stesso tempo gli strumenti che io ho oggi, attraverso le varie sconfitte, mi rendono ciò che sono oggi. Una persona molto più interessante di 10 anni fa.
Se io oggi dovessi fare un colloquio con il Fabio Tammaro 39enne, lo stesso di 29 anni e di 19 anni, il Fabio Tammaro di oggi oscura tutti gli altri perché comunque ha fallito, si è rialzato, ha ricominciato, si è rimesso in discussione, ha rifallito. Sa come fare per non cadere in quel modo, magari rifallirà in altri, ma secondo me deve essere vissuta in questo modo, altrimenti si rischia di cadere in un loop psicologico dannoso e soprattutto poco funzionale.
Mi piacerebbe si parlasse di più di fallimenti perché fallire un progetto, fallire un'idea, fallire un'impresa, non vuol dire fallire nella vita. Si può fallire per milioni di cause: per il posto sbagliato, il momento sbagliato, il tempo sbagliato, per questioni fisiche, professionali, per tante dinamiche. Però ci si rialza sempre, e si può prendere quell'insegnamento, dargli un valore economico, dargli un valore emotivo e continuare.
Io penso questo, poi non sarà la cosa più giusta nel mondo, ma penso questo.

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