E se fondassimo il PARTITO della RISTORAZIONE ITALIANA?

Tanto per cominciare quando si crea un partito, è fondamentale che l'acronimo funzioni, e P.R.I. suona decisamente bene!
E se fondassimo il  PARTITO della RISTORAZIONE ITALIANA?

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Si chiamerà Partito della Ristorazione Italiana - P.R.I. e potrete votarlo alle prossime elezioni!

In realtà volevo solo scrivere un articolo provocatorio, ma il nome è talmente bello che per un attimo mi sono fatto prendere la mano. Ma rimaniamo con i piedi per terra e "giochiamo" ipotizzando che, stufi di essere ignorati dalla politica, decidessimo come novelli Beppe Grillo, di fondarci il nostro partito:

"Apriti un ristorante e vediamo quanti clienti prendi!"
semicit. - Piero Fassino.

Numericamente sarebbe un esperimento interessante. Siate onesti, quanti di voi il fine settimana delle elezioni vanno alle urne? Lo so, lo so che moltissimi di voi ci tengono a esercitare il proprio diritto al voto, ma ve la rigiro diversamente - "Quanti vostri colleghi NON vanno a votare alle elezioni?"
Potremmo sorprendere tutti, a cominciare da noi stessi e scoprire quale peso reale potremmo avere a livello politico nel paese.

Ma tralasciamo i sogni e passiamo a cose più concrete. Ci vuole un programma!
Ecco allora i 5 pilastri, le 5 stel...ah no, ce l'hanno già presa questa, vabbè, i 5 punti (poi gli troviamo un simbolo congruo) chiave sui quali dare battaglia a destra e sinistra. Letteralmente.

1 - ISTITUIRE IL CONTROLLO PERIODICO DEL PERSONALE PRESSO LO PSICOLOGO DI BASE.

Come avevamo evidenziato nell’incontro al BIT del 2020 (proprio a ridosso dell’inizio pandemia), il burnout è un problema crescente del nostro settore. Affrontarlo è solo il primo passo, ma un passo fondamentale. Se non si riconosce e conosce il problema, non lo si può risolvere.
Esistono diversi disturbi comportamentali che possono insorgere e che andrebbero maggiormente attenzionati nel nostro settore. Esattamente come avviene il controllo medico previa assunzione, allo stesso modo andrebbe obbligata una simile analisi dal punto di vista psicologico, con richiami ciclici, esattamente come avviene per un rinnovo dell'Haccp.
Il nostro, ci tengo a ribadirlo, NON è un lavoro usurante, nel senso che per sua natura non lo sarebbe, ma lo è diventato, motivo per il quale è necessario prendersi maggiormente cura e responsabilità della salute mentale di chi lavora.
L'aspetto psicologico, il rischio burnout, non può essere lasciato alla responsabilità del dipendente poiché, molto spesso, non è nemmeno a conoscenza dello stress che vive e delle conseguenze che comporta.

2 - CREARE UNA FIGURA DI PREPOSTO PER LA FILIERA PRODUTTIVA CUCINA/BAR

Con OCCCA abbiamo più volte evidenziato come sia assurdo che per somministrare una dieta, un nutrizionista debba laurearsi, mentre un cuoco per dare direttamente da mangiare, necessita solo di 8 ore di corso Haccp.
Serve da una parte creare una figura specifica e professionale che si faccia carico di quello che viene prodotto attraverso la trasformazione degli alimenti e che gli venga ufficialmente riconosciuta tale responsabilità e competenza.
Stessa cosa per un cocktail bar.
Se un locale vuole essere originale, innovativo, risparmiare attraverso l’uso di prodotti creati “homemade” nel proprio locale, non deve solo avere un laboratorio/cucina predisposto e un manuale dell’autocontrollo aggiornato.
Deve poter avere una figura di riferimento nella propria attività che, attraverso crediti e corsi formativi, attesti di essere in grado di poter realizzare prodotti, a volte anche stoccabili, da servire con sicurezza e chiarezza ai propri clienti.
Tale figura non solo deve essere formalmente riconosciuta attraverso un percorso professionale, ma dovrà essere contrattualizzata e stipendiata secondo un preciso inquadramento.
Vuoi un locale che si differenzia sul mercato grazie a proposte esclusive?
Allora dovrai assumere personale certificato e valutare se l'investimento, obbligatorio, può avere un ritorno in termini di mercato.

3 - REVISIONARE I CONTRATTI NAZIONALI DEL LAVORO (CCNL)

Non si tratta di intervenire solo sul costo del lavoro, sull’adeguamento dei salari e l’inserimento di figure che attualmente vengono contrattualizzate con altro nome.
Qui si tratta di capire che la ristorazione di una volta, quella d’albergo, con fasce orarie e ruoli definiti più o meno standardizzati, non può più essere il modello di riferimento di una categoria che negli ultimi decenni ha totalmente inventato nuovi modelli di business e di lavoro.
Si sono stratificati strumenti e forme contrattuali su un sistema che non ha più alcun collegamento con la realtà.
Ecco che allora tutti noi, dal dipendente al titolare, fino al commercialista e consulenti di lavoro, elaborano spesso rapporti di assunzione in chiave informale per poi applicare modelli formali che siano a norma.
(Es.: le parti si accordano per una cifra, 1500 euro al mese, che vengono poi inseriti in busta paga attraverso varie formule, dall’inserimento di 13esima e 14esima, al bonus Renzi incluso o attraverso l’ausilio dell’una tantum per arrivare al compenso concordato)
Non ha alcun senso.
Serve capire una volta per tutte chi è il lavoratore di un ristorante, albergo, cocktail bar, pizzeria, caffetteria. Farsi delle domande, trovare un comun denominatore, e a quel punto determinare il valore e infine il prezzo.
Il lavoro è essenzialmente un prodotto del mercato e finché non avremo chiaro cosa questo prodotto è e cosa dobbiamo aspettarci da lui, non potremo dargli un prezzo.
Deve finire l’era in cui il prodotto lavoro viene di volta in volta stabilito da entrambe le parti, andando così ogni volta a usare elementi del tutto soggettivi e relativi come:
– la zona geografica in cui si offre/cerca lavoro
– il sesso del dipendente
– l’età del dipendente

Una lattina di coca cola potrà avere un prezzo di vendita diverso nel bar del centro storico di Firenze piuttosto che nel paesino di periferia in Sicilia. ma entrambi gli esercenti quella lattina la compreranno più o meno la stessa cifra.
La lattina di coca cola è come il dipendente, e se questo vi sembra poco romantico, spiegatemi come può esserlo il fatto che lo stesso dipendente sia trattato in modo meno equo della bevanda in base a dove trova collocamento.

4 - FORMULARE UN PATTO DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DELLE ATTIVITÀ RISTORATIVE

Innanzitutto bisognerebbe intervenire con degli incentivi dalle regioni, affinché nei singoli comuni venga messa in atto una tariffa puntuale sulla tassa dei rifiuti, facendo così pagare solo la produzione dell’indifferenziato, incentivando l’acquisto di prodotti compostabili, creando certificazioni che attestino l’attenzione dell’attività sull’ambiente attraverso mirate scelte aziendali (magari riuscendo a soddisfare 10 punti come quelli descritti in questa proposta)
Esiste una numerosa clientela che sceglie i locali in base al giudizio gourmet delle più rinomate guide.
Un’altra fetta di clientela da priorità per esempio alle scelte etico animaliste (ristoranti vegan), o religiose (cucina kosher, halal).
Non esiste però una certificazione che dimostri come quella pizzeria, ristorante, pasticceria o bar, pongano attenzione all'impatto ambientale che esse hanno sul territorio.
Sarà forse per questo motivo che chi pensa la propria attività in chiave ecofriendly lo fa sempre e solo per puro idealismo, e mai sotto un punto di vista anche commerciale?
Un simile patto istituzionale sarebbe stato oltremodo necessario anche durante la pandemia, considerando come siamo passati dal 2019 delle spiagge "cannucce-free" al 2020 del drink delivery in buste di plastica del sottovuoto.

5 - CREARE UN TAVOLO ISTITUZIONALE CON GRADUATORIA DI ACCESSO PER RAPPRESENTANZE DI SETTORE

Abbiamo in diverse occasioni parlato di Stati Generali della Ristorazione.
Si tratta di creare una sorta di evento separato da quelli che sono gli Stati generali del Turismo, che generalmente coinvolgono tutta una serie di soggetti come tour operator, alberghi, grandi catene del settore ho.re.ca., su quelle che sono solo una parte delle dinamiche economiche (ma anche sociali) del nostro settore.
Serve iniziare un percorso che abbia innanzitutto continuità.
Abbiamo da riparare, cambiare ed evolvere tutta una serie di norme, abitudini, strategie che riguardano il passato e il presente.
Al tempo stesso però dobbiamo pensare ad un approccio efficace verso le sfide del futuro e gli inevitabili cambiamenti a cui saremo di nuovo chiamati a rispondere.
Se non vi sarà un tavolo permanente del settore, coordinamento di istituzioni e soggetti rappresentativi, ci troveremo sempre ad arrancare, in una sfida dove ognuna pensa a salvare la propria pelle, nel contesto individualistico che tanto connota la nostra imprenditoria enogastronomica.
Proprio perché i tempi cambiano, è necessario che ci sia oggi come in futuro, spazio per nuove rappresentanze che magari siano capaci di interpretare meglio il loro tempo o avanzare proposte di un cambiamento che sono portati a vivere, a differenza di chi ci ricorda l’importanza del passato ma senza la capacità di immaginare un futuro.
Inutile spiegare quanto un simile tavolo istituzionale, già avviato, avrebbe permesso un dialogo più produttivo durante i due anni di pandemia, in cui il nostro settore è stato prima ignorato e poi messo da parte.

Magari quella di fondare un partito è una provocazione, ma di certo non mi dispiacerebbe leggere uno o più di questi punti nel programma di una coalizione alle prossime elezioni.

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