La GAVETTA: un'eredità da riscoprire.

"Gavetta", un termine che evoca immagini di duro lavoro, sacrificio e umiltà, è profondamente radicato nella cultura della ristorazione. Ma cosa significa davvero "fare la gavetta"? E perché, in un mondo del lavoro sempre più complesso e regolamentato, ne abbiamo ancora bisogno?
Gavetta ristorazione - Restworld - OCCCA - Marco Natali

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Partiamo dall'etimologia. La gavetta era un recipiente di metallo utilizzato dai soldati durante la guerra per cucinare e mangiare. "Fare la gavetta", in quel contesto, rappresentava la vita spartana e le condizioni di vita difficili che i soldati dovevano affrontare. Il termine è stato poi trasferito nel mondo del lavoro, assumendo un significato più ampio, legato al duro apprendistato che si doveva affrontare per entrare a far parte di un mestiere, come nella ristorazione.

E oggi? Oggi pare che questo processo di iniziazione stia venendo a mancare nelle nuove generazioni. Per non perderne soprattutto i valori sani è importante allora dare alla gavetta una definizione aggiornata, partendo da tre parole chiave: umiltà, obbedienza e miglioramento.

UMILTÀ - Come diventare leader.

La gavetta insegna a mettere da parte l'ego e a imparare da chi ha più esperienza. Si impara a svolgere i compiti più umili, a lavorare in squadra e a mettere al primo posto le esigenze del gruppo. Questo aiuta a empatizzare con la brigata permettendo in futuro di acquisire doti di leadership.

OBBEDIENZA - Questione di fiducia.

La gavetta richiede di seguire le istruzioni dei maestri, di imparare le tecniche tradizionali e di accettare le critiche costruttive. È un processo di apprendimento che si basa sul rispetto e sulla fiducia reciproca.
Da una parte la fiducia dell'allievo verso il maestro, dall'altra quella del maestro che si aspetta che vengano eseguite le mansioni richieste, nelle modalità concordate.

MIGLIORAMENTO - Motivo e movente.

La gavetta è un percorso di crescita continua. Si impara a fare le cose sempre meglio, a perfezionare le tecniche, a sviluppare la propria creatività e a raggiungere un livello di professionalità sempre più alto.
Senza l'intenzione di migliorare la gavetta da sola non potrà produrre nulla.

Al tempo stesso la gavetta, nel mondo del lavoro di oggi, non può essere sinonimo di altri 3 punti chiave: sfruttamento, soprusi, contratti irregolari.

SFRUTTAMENTO - Chi lavora?

Non è così difficile da capire. Se tutti stanno lavorando non è sfruttamento, indipendentemente da chi sta facendo cosa. Se lavora solo chi deve imparare e qualcuno sta con le braccia conserte, allora scatta la red flag!

SOPRUSI - Attenzione all'età!

Tra una generazione e quella successiva possono esserci modelli educativi molto diversi. Una può aver vissuto e metabolizzato normalmente atteggiamenti che per i più giovani sono inconcepibili. L'era del cameratismo insomma è finita. Per non sbagliarsi nei modi, il consiglio è quello di pensare sempre che non siamo una famiglia, che stiamo lavorando, che esistono diritti ma anche doveri, e che rispetto ed educazione non hanno età o generazione.

IRREGOLARITÀ CONTRATTUALE - Il "nero" che sfina...

Checché se ne dica, in Italia abbiamo diverse forme contrattuali perfettamente regolari che permettono all'apprendista di avere da subito uno stipendio pari quasi a quello di un operaio semplice, ad un costo minore lordo per il datore di lavoro. Questo affinché ci sia un incentivo ambo le parti a intraprendere per un determinato periodo (massimo 3 anni) una collaborazione che sia proficua per entrambi.

E SE CAMBIASSIMO PROSPETTIVA?

Penso che la gavetta sia un modello formativo fondamentale del nostro settore e come tale andrebbe formalizzato nel modo migliore.
L'apprendistato è attualmente la formula contrattuale con la quale questa prassi viene regolamentata ma credo di poter, anzi, posso affermare, che troppo spesso viene strumentalizzata per assumere dipendenti in forma agevolata senza realmente assumersi la responsabilità di formare sul campo lavoratori alle prime armi.

Io personalmente sono di un altro avviso e opterei per una forma di apprendistato senza alcuna forma di remunerazione per il dipendente, per un periodo ben più limitato (massimo 6 mesi) al cui termine un test verificherebbe l'effettivo training dell'apprendista, che, se ritenuto non soddisfacente, precluderebbe successive assunzioni in questa formula da parte del datore.
In pratica, un modello che vada a impedire molto rapidamente che tante realtà ristorative sfruttino il meccanismo dell'apprendistato per usufruire di manodopera a basso prezzo su cui poggiare le basi della propria attività, e un incentivo positivo verso quelle aziende che sono realmente una scuola pratica e utile a formare le nuove leve.

Magari questa mia idea la proporrò meglio in un futuro articolo, intanto dimmi, tu che ne pensi della gavetta? Ritieni che oggi le formule contrattuali permettano agevolmente di regolare questa vecchia ma sempre valida formula di formazione sul campo?

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