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Chi sono i celebrity chef del passato?
Cucina e palcoscenico nell’antica Roma
A Roma, la buona cucina non era certo affare da persone comuni, come dimostrano le poche informazioni giunte fino a noi. Uno dei documenti più preziosi è, senz’ombra di dubbio, il ricettario di un certo Marco Gavio Apicio (o semplicemente Apicio), il De re coquinaria. Si tratta della più antica raccolta di ricette di cui disponiamo e ci fornisce un quadro abbastanza completo di ciò che mangiavano i ricchi romani, gli unici che potevano permettersi gli ingredienti esotici e costosi di cui Apicio fa largo uso. Condimenti e spezie erano senz’altro i protagonisti, a dimostrazione della facilità con cui i romani potevano rifornirsi di materie prime rare, provenienti da ogni angolo dell’impero: quindi garum, la famosa salsa di pesce fermentato, miele, spezie orientali e zucchero. Con Apicio si assiste alla trasformazione del cibo in status symbol, emblema di sfarzo e potere, i banchetti diventano spettacoli unici e sorprendenti, tanto da conferire allo chef Apicio una fama secolare, che arriverà addirittura a influenzare la cucina rinascimentale. Altro esempio di spettacolarizzazione della cucina si trova nel Satyricon di Petronio. A un certo punto, durante uno dei memorabili banchetti ivi descritti, il liberto Trimalcione chiama il suo cuoco, rimproverandolo poiché aveva servito un maiale intero, senza eviscerarlo. «Visto che sei distratto, sventralo qui davanti a noi» – intimò Trimalcione – così, «rimessosi la tunica, il cuoco impugnò un coltellaccio e […] prese a squarciare il ventre del porco. E mano a mano che i tagli si allargavano, saltavano fuori cotechini e salsicce», generando stupore ed entusiasmo tra gli ospiti. Tale episodio, apparentemente banale, è utile per delineare quegli elementi che, fino alle soglie dell’età moderna (e forse anche oltre), rappresentano la cifra dell’alta cucina: ricercatezza degli ingredienti, unicità del gusto e meraviglia.
Il Rinascimento e la nascita della cucina italiana
Un rapido balzo in avanti e siamo nel Rinascimento, periodo del quale ricordiamo – tra le altre cose – moltissimi cuochi illustri. Come Maestro Martino Rubeis (o De Rossi) che con il suo De arte coquinaria, scritto in volgare così da poter raggiungere un pubblico più vasto, fa da spartiacque tra la cucina medievale e quella rinascimentale. Il lavoro del Maestro ispirerà l’opera di Bartolomeo Sacchi – detto il Platina – bibliotecario del Vaticano che pubblica De honesta voluptate et valetudine: un testo che alle ricette di Maestro Martino affianca tutta una serie di consigli igienici e dietetici, guadagnandosi il successo preso gran parte delle corti europee. Ma è con l’Opera di Bartolomeo Scappi, il «cuoco secreto» (ossia privato) del papa, che riusciamo ad avere un quadro completo dell’organizzazione di una brigata di cucina dell’epoca, così come delle conoscenze che doveva avere un grande cuoco. Parallelamente, Cristoforo da Messisbugo (noto semplicemente come Lo Sbugo) con il suo Banchetti, compositione di vivande et apparecchio generale ci descrive nel dettaglio l’organizzazione di un banchetto, essendo egli stesso scalco – una sorta di direttore di sala ante litteram – di corte. Durante il Seicento, l’innovazione nell’alta cucina subisce una battuta d’arresto, fossilizzandosi maggiormente sull’aspetto scenografico, piuttosto che sulla sapiente elaborazione delle materie prime. Bisognerà aspettare il Settecento, e chefstar del calibro di Francesco Leonardi e Vincenzo Corrado, per cominciare a intravedere i germogli di quella che sarà la gastronomia italiana. Il primo, romano di nascita, ma che vantava collaborazioni presso svariate corti europee, è autore de L’Apicio moderno, ossia l’arte del credenziere, una grandiosa opera in sei volumi che vuole proporre una cucina alternativa rispetto a quella francese; il secondo invece, è un abate napoletano che con la pubblicazione de Il cuoco galante intende dar lustro ad alcune peculiarità partenopee, rappresentando uno dei primissimi esempi di quella cucina territoriale (regionale) che caratterizza la gastronomia nostrana. Infine, non si può non citare Pellegrino Artusi, che nel 1891 dà alle stampe (a sue spese) La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, in cui vengono raccolte 800 ricette circa provenienti da ogni angolo dello Stivale, rappresentando il primo tentativo riuscito di creare una cucina condivisa e riconoscibile in quanto italiana.
La ricetta per il successo
Dalle stalle alle stelle
Fare il cuoco, fino agli inizi del secolo scorso, è sempre stato uno dei lavori più bistrattati e le cucine degli ambienti per nulla salutari: sporche, maleodoranti e piene di fumo, costruite in seminterrati e del tutto prive di condizioni igienico-sanitarie adeguate. Eppure, da sempre, esistono cuochi che, per una ragione o per l’altra, sono riusciti a infrangere le diffidenze e i pregiudizi, affermandosi per le loro abilità e competenze. Fu già Tito Livio a dirsi preoccupato per la crescente popolarità degli chef che – a detta sua – era sintomatica della decadenza dell’impero e dei suoi valori. Nel paragrafo precedente, abbiamo rapidamente elencato alcune di queste celebrity chef del passato, note (soprattutto) per le importanti testimonianze bibliografiche che ci hanno lasciato in eredità. A quelli, si potrebbero senz’altro aggiungere molti altri nomi quali, ad esempio, quelli di alcuni illustri rappresentanti della gastronomia francese – da Marie-Antoine Carême ad Auguste Escoffier e Francois Vatel – ma, in ogni caso, la lista non rappresenterebbe che la punta dell’iceberg dello staff di cucina che, per secoli, ha sfamato i potenti d’Europa. Infatti, è soltanto in tempi recentissimi che i riflettori sono stati puntati dietro le quinte della ristorazione e che il mestiere dello chef, da umile manovale, è stato rilanciato e apprezzato socialmente. La vera svolta arrivò nel secondo dopoguerra, con l’arrivo della televisione da una parte, e l’affermazione delle “stelle” come metro di valutazione universalmente riconosciuto. Soprattutto nel mondo anglofono, è dagli anni Cinquanta che alcuni cuochi raggiungono la celebrità grazie alla loro presenza televisiva – è il caso di Julia Child, Philip Harben e altri – ma il loro target di riferimento rimane la cucina casalinga, così come le ambientazioni e le ricette proposte. Per l’alta cucina, invece, la notorietà arrivò per altre vie. I cuochi che ottenevano una, due o tre stelle Michelin hanno cominciato ad attirare su di sé l’attenzione mediatica e giornalistica, a pubblicare libri e a diventare punti di riferimento della gastronomia mondiale. Tra questi, vale la pena ricordare qualche nome: Paul Bocuse e Alain Ducasse in Francia, Gualtiero Marchesi in Italia e Marco Pierre White nel Regno Unito. Siamo così alle soglie di quella “gastromania” dilagante che, con l’era dei social network, ha raggiunto la sua massima espansione.
La spettacolarizzazione del cibo
Nel 1995 viene lanciato il canale monotematico Food Network, che prevede una programmazione interamente dedicata alla cucina. Grazie a questa emittente televisiva, gli chef iniziano a entrare nelle case di tutti, facendosi conoscere e contribuendo significativamente a modificare la percezione del pubblico nei confronti della cucina. Fu poi la volta di diversi format di successo, come il reality statunitense Top Chef (giunto oggi alla sua ventesima edizione) che è considerato il prototipo di tutte le trasmissioni successive, da MasterChef in avanti. Ed è proprio con MasterChef che, in Italia, si è definitivamente sdoganato il protagonismo televisivo degli chef. Dal 2011 (anno della prima edizione), abbiamo tutti imparato a conoscere Carlo Cracco, Bruno Barbieri e Joe Bastianich a cui, negli anni, si sono aggiunti Antonino Cannavacciuolo, Antonia Klugman e Giorgio Locatelli. Da quel momento in poi, le trasmissioni di cucina si sono moltiplicate a dismisura, talvolta arrivando persino a stravolgere la “gavetta” degli chef: non più da cuoco a star mediatica, ma da celebrity chef a ristoratore – come, ad esempio, è successo ad Alessandro Borghese e a Simone Rugiati. Parallelamente, l’aumentare dell’interesse popolare per l’alta cucina ha fatto sì che anche personalità del tutto estranee (o quasi) dagli ambienti televisivi, siano riusciti a raggiungere il successo mediatico. Tra questi, vale la pena ricordare Davide Oldani e Massimo Bottura che, attraverso interviste, documentari e iniziative di varie tipo sono oramai noti ai più, pur avendo sempre più preferito stare ai fornelli piuttosto che davanti a una telecamera.