Carne “allevata” e “coltivata” a confronto
L'impatto degli allevamenti
È ampiamente noto a quanto ammonti il bilancio ambientale della nostra scellerata industria alimentare. Dando soltanto qualche numero per inquadrare la questione, diremo che ogni anno vengono macellati globalmente circa settanta miliardi di animali d'allevamento a scopo alimentare, di cui soltanto trecento milioni sono bovini, il resto è rappresentato da pollame.
L'impronta ecologica di un tale numero di capi è esorbitante, soprattutto per quel che concerne le colture finalizzate al nutrimento animale che, soltanto negli Stati Uniti, rappresentano il 67% delle coltivazioni totali – come a dire che circa i due terzi dei terreni coltivati non serva ad alimentare direttamente le persone, bensì finisca per nutrire ciò di cui ci nutriamo. Pertanto, la cosiddetta “agricoltura animale” è responsabile, da sola, di ben il 15% delle emissioni globali di gas a effetto serra, senza contare il consumo di acqua e suolo, e le sostanze altamente inquinanti utilizzate massicciamente nelle produzioni intensive.
Molte – se non tutte – queste criticità potrebbero teoricamente venire risolte dalla carne coltivata, oltre ad altri potenziali risvolti positivi dell'applicazione su larga scala di tale tecnologia. Ad esempio, non richiedendo specifiche condizioni meteo-morfologiche, la carne prodotta in laboratorio può essere coltivata ovunque, si eliminerebbe così la necessità dell'importazione; in aggiunta, un maggiore controllo durante tutto il processo produttivo permetterebbe di intervenire per migliorare determinati aspetti nutrizionali e/o organolettici, così da ottenere alimenti sempre più sani e salutari. Altre ragioni puramente edonistiche riguarderebbero la possibilità di mangiare carne di animali rari o esotici, oppure di potersi nutrire senza remora di alcune specie fortemente prese di mira dalla caccia e dalla pesca sconsiderate.
Come si coltiva la carne
Coltivare la carne – spiega David Kaplan, direttore del Centro per l’agricoltura cellulare della Tufts University – equivale a «prendere cellule da animali normalmente allevati per produrre carne e usare quelle cellule come starter per far crescere la carne al di fuori dell’animale». Si parte da alcune cellule animali – prelevate tramite biopsia – che vengono inserite in appositi macchinari atti a stimolarne lo sviluppo. Per rendersi conto delle dimensione di tale strumentazione, Kaplan suggerisce di «immagina[re] qualcosa di simile alla produzione della birra, [...] si tratta di proporzioni molto, molto grandi».
Per tale processo, vengono utilizzate diverse tipologie di cellule: cellule staminali, con le quali è possibile riprodurre pressoché qualsiasi parte dell'animale; cellule cosiddette “satellite”, capaci di rigenerare e riparare i muscoli; oppure, per ovviare al numero massimo di cicli riproduttivi possibili per ciascuna cellula (quaranta-cinquanta circa), cellule rese “immortali” attraverso una specifica manipolazione genetica grazie alla quale sono in grado di moltiplicarsi all'infinito. Finalmente, si dovrebbe ottenere un prodotto in tutto e per tutto analogo alla carne che abitualmente mangiamo. Aspetto, consistenza, composizione microbiologica, ma soprattutto odore e sapore dovrebbero essere assolutamente indistinguibili, offrendoci la possibilità di consumare illimitatamente alimenti di origine animale in maniera etica, sostenibile e rispettosa degli ecosistemi.
Le aziende che coltivano carne
Pollo coltivato tra Singapore e USA
Lo stato di fatto, ad oggi, è ancora ben lontano dalla teoria. A livello globale, infatti, esistono soltanto due aziende che hanno ottenuto le autorizzazioni necessarie per commercializzare carne coltivata in laboratorio. Da San Francisco, Eat Just che, tra le altre cose, si occupa di carne in vitro con la sua Good Meat; mentre, dalla California, Upside Foods. Nel 2020, il pollo di Good Meat ha fatto il suo ingresso nel mercato di Singapore, trovando spazio in alcuni ristoranti gourmet o bancarelle di street food. Poi, nel 2023, arriva il via libera anche dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti dove, ad oggi, il pollo di Good Meat si può trovare da China Chilcano, un ristorante cino-peruviano di Washington D.C.
Analogamente, le autorità statunitensi hanno accolto le richieste di Upside Foods che, al momento, rifornisce di pollo coltivato Bar Crenn, un ristorante stellato di San Francisco la cui chef Dominique cercava da tempo una valida alternativa alla carne proveniente dagli insostenibili allevamenti intensivi. Allo stato attuale, però, il business della carne coltivato è ancora molto lontano dall'essere economicamente sostenibile. Infatti, l'abbiamo visto, entrambe le aziende collaborano con al massimo un paio di ristoranti ciascuna, del tutto insufficienti per coprire gli elevatissimi costi di produzione. Inoltre, gli attuali impianti hanno una capacità produttiva veramente limitata, per cui entrambe le startup stanno investendo nella costruzione di bioreattori molto più grandi, con l'unico obiettivo di produrre su scala più vasta così da abbattere i costi.
E in Italia?
Qui da noi, lo sappiamo, il 2023 è stato l'anno in cui il governo ha deciso di porre un veto sulla carne prodotta in laboratorio, con un serie di decreti legge tempestivamente approvati dalle camere e numerose polemiche mediatiche a far da contorno. Nonostante ciò, c'è chi resiste e persegue i propri obiettivi: Bruno Cell, ad esempio. Startup che prende il nome d Giordano Bruno, bruciato vivo sul rogo per le sue idee giudicate “eretiche”. «La sua determinazione nello sfidare i paradigmi dominanti è per noi fonte di ispirazione» scrive l'azienda sul proprio sito web. L'eresia, nel caso specifico, sarebbe proprio questa pericolosissima carne "sintetica" su cui sappiamo ancora troppo poco, ma di cui sarebbe veramente un peccato restare indietro.
La direzione del nostro Paese, però, sembra remare contro a questa possibile nuova frontiera dell'alimentazione carnea. Questo, però, non demoralizza Stefano Lattanzi – fondatore dell'azienda – che alla rivista Wired spiegava che la sua startup si limita a fare ricerca, aggirando così i divieti governativi che riguardano la produzione, l'importazione e la commercializzazione della carne coltivata. Nulla vieta la ricerca, creando un cortocircuito: dagli sforzi degli imprenditori italiani potrebbero vedere la luce brevetti che, venduti altrove, genereranno ricchezza fuori dal nostro Paese.