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«Il servizio è in bianco e nero, l’ospitalità è a colori» scrive Will Guidara nel suo celebre "Un servizio pazzesco". Una frase semplice, ma che racchiude una verità profonda per chi lavora nella ristorazione: servire e ospitare non sono la stessa cosa. Mentre il servizio si fonda su procedure e automatismi, l’ospitalità richiede attenzione autentica, ascolto ed empatia. In questo articolo vedremo cosa significa passare da “fare bene il proprio lavoro” a creare esperienze memorabili per i propri ospiti, capaci di fidelizzarli e di motivare i propri collaboratori.

Servizio vs. ospitalità
«Il servizio è in bianco e nero, l'ospitalità è a colori» («Service is black and white, hospitality is colorful»). Con questa semplice quanto potente frase ad effetto, Will Guidara – autore del libro Un servizio pazzesco. Il potere incredibile di offrire una hospitality al di sopra delle aspettative, ed ex general manager dell'Eleven Madison Park – mette in chiaro una distinzione che (quasi) tutti conoscono, ma che difficelmente si riesce a spiegare. Il servizio è fatto da una serie di procedure standardizzare e ripetitive: salutare, accompagnare al tavolo, prendere l'ordinazione e così via. L'ospitalità, invece, è un'altra cosa. Significa entrare in relazione, anticipare bisogni e desideri e, in definitiva, creare un'esperienza memorabile.
Una differenza che si riflette direttamente nella brand reputation di un locale. Nell'HoReCa, infatti, moltissime sono le attività che funzionano, nel senso che lavorano bene, ma quante – invece – quelle che lasciano il segno? Il servizio, va da sé, non può mancare, è necessario in quanto costituisce la base di ciò che gli ospiti si aspettano. Altra cosa è l'ospitalità, quella vera, che è ciò che si costruisce nel tempo con impegno e passione, fidelizza i clienti e motiva lo staff a dare il massimo.
Il servizio è una procedura, l'ospitalità un'intenzione
Portare a termine un buon servizio significa seguire una procedura standard: sorridere, avere un tono cordiale e rispettare certe tempistiche e modalità. Pratiche che, ben presto, diventano automatismi per chi lavora nella ristorazione (nonostante possano avere differenze consistenti fra locale e locale). Elementi, come si diceva, importanti, ma che ben poco hanno a che fare con l'ospitalità. Un servizio, benché impeccabile, può comunque risultare freddo senza ascolto, empatia né connessione.
L'ospitalità, d'altra parte, nasce dall'intenzione di voler far sentire l'ospite realmente visto e riconosciuto nella propria individualità – in una parola: importante. Non si tratta necessariamente di "aggiungere" qualcosa a quel che normalmente si offre, ma di personalizzare l'accoglienza. Ricordarsi le chiacchierate passate con i clienti così da avere degli spunti conversazionali, offrire un bicchiere d'acqua prima che venga chiesto, o apportare modifiche ad hoc per soddisfare un gusto particolare. Gesti piccoli, certo, che non si possono tuttavia improvvisare, ma che – anzi – richiedono una forte empatia e la flessibilità di agire al di fuori degli schemi.
Come si costruisce un servizio “a colori”
Se si vuole passare dalla monotonia del bianco e nero alla vivacità dei colori serve, come prima cosa, un radicale cambio di mentalità, piuttosto che di strumenti. Fondamentale, in primo luogo, il coinvolgimento dello staff in un percorso atto a comprendere che i clienti reali non sono targettizzabili, che ciascuno è diverso e che ogni interazione è un'occasione per lasciare un segno. Ciò, oltre a gettare le basi per un'ospitalità autentica, significa anche dare autonomia a chi lavora in sala e valorizzare chi riesce a creare connessioni autentiche.
Corollario a questo vi è la formazione. Non tanto quella tecnica (già fondamentale e indipendente da quel che ci interessa), quanto quella relazionale. Infatti, chiunque si interfacci con il pubblico dovrebbe avere uno spiccato spirito d'osservazione, saper decifrare il linguaggio del corpo e riuscire al volo a cogliere ogni più piccolo bisogno degli ospiti. Al giorno d'oggi, il cliente medio è generalmente più preparato e si aspetta un certo standard nel servizio, che una buona parte dei locali soddisfa. In tale contesto, l’unica vera differenza la fa il fattore umano. E, su questo, non si può barare: o c'è o non c'è.

Perché l’ospitalità ripaga
Fare ospitalità richiede impegno, vero, ma non pensiate sia solo una questione formale o di stile: è una vera e propria scelta strategica. I clienti, infatti, sono più propensi a ricordare come si sono sentiti nel tuo locale, l'esperienza che hanno vissuto, piuttosto di che cosa hanno mangiato. E, dove ci si trova bene, si ritorna. Un’esperienza positiva, inoltre, crea passaparola, aumenta il punteggio medio delle recensioni e fidelizza.
Inoltre, elemento da non sottovalutare, un servizio centrato sull’ospitalità è capace di motivare anche lo staff. Lavorare in un ambiente dove si valorizza il lato umano del mestiere rende il tutto più gratificante e i risultati a medio-lungo termine lo confermano: riduzione del turnover, creazione di senso di appartenenza e miglioramento della qualità complessiva del servizio. In definitiva, riprendendo la metafora cromatica: il bianco e nero funziona, ma, per restare impresso, devi pensare a colori.